L’ aggressività e la richiesta di essere accolti

L’ aggressività fisica e/o verbale è solo la punta (estrema) di un movimento interiore di disagio che non trova altro spazio di espressione.

A fronte di un ventaglio di emozioni spesso aventi a che fare con rabbia e frustrazione alcuni bambini ricorrono all’ espressione o esplosione del corpo come unico strumento per dare voce a quello che non riescono ad esprimere verbalmente o che non sono ancora in grado di gestire diversamente.

Compito della figura educante, specialmente del genitore con il quale è più facile che ciò possa accadere, riuscire a contenere prima e incanalare poi queste manifestazioni fisiche ( che in alcuni momenti evolutivi rappresentano anche un affermazione di volontà ) di modo che il disagio possa essere espresso in modi più funzionali e volti alla risoluzione.

Intorno ai due anni, il bambino inizia a notare chiaramente come le sue azioni possono procurare una reazione negli altri ed inizia, attraverso l’ opposizione, non solo ad affermare la sua volontà ma anche a ‘testare’ l’ altro, spinto da una curiosità affettiva oltre che alla sperimentazione attiva delle emozioni. Tendenzialmente prima dei quattro anni il bambino non dispone ancora di una volontà matura, verso la quale è importante progressivamente accompagnarlo; molte volte le manifestazioni di volontà sono quindi ancora scisse dai bisogni reali o dall’ espressione di questi ( “Ma io lo voglio ” oppure “voglio la stessa cosa che ha preso il papà”) ed un ‘No’ o la definizione di un confine chiaro e deciso possono procurare in lui emozioni il cui processo gli riesce difficile contenere.

L’ Io del bambino non ha ancora una struttura tale da poter consapevolizzare, gestire e soprattutto contenere ciò che gli accade dentro, bisogna appunto accompagnarlo fornendogli gli strumenti necessari per costruirlo nel tempo attraverso rimandi ed esempi. Ricordiamoci che i bambini ‘registrano’ come risponde l’ adulto di riferimento e ne fanno spesso un modello di comportamento futuro.

Superati i quattro anni (e oltre, fino ad arrivare alla pubertà) questa onda ormonale emotiva può risultare per alcuni fisicamente molto difficile da sostenere senza un esplosione a danni di cose o persone, in particolar modo quelle con le quali si è maggiormente sviluppato un attaccamento affettivo importante.

Cosa fare allora quando mio figlio mi picchia, distrugge gli oggetti in casa o fa del male a sua sorella/fratello?

E’ bene innanzitutto stare attenti a non rispondere all’ aggressione con un altra aggressione, se non si vuole correre il rischio non solo di fallire nella comunicazione ma addirittura di rinforzare questo atteggiamento.

Per aggressione si intende sia fisica che verbale quindi l’ educatore o il genitore sia ben attento a non cadere in trappole di parole che feriscono tanto quanto un pugno ( “Quando fai così sei stupido/cattivo….ecc; i giudizi verbali diventano poi quello con cui il bambino si identifica e tenderà inoltre a replicare lo stesso atteggiamento). Il disagio diventa violenza quando non trova un collegamento con il bisogno che nasconde, questo accade anche negli adulti, per questo è così importante non trascurare segnali così importanti che il bambino che “aggredisce” sta inviando.

Appuranto che l’ aggressione è , di fatto, una richiesta di attenzione e aiuto rispetto allo stato emotivo che stà vivendo, la prima cosa da fare è sicuramente evitare che il bambino vi faccia del male. Il fatto che siate consapevoli del bisogno nascosto non lo autorizza a trattarvi come un “pungiball” su cui potersi scaricare (anche questo potrebbe in futuro incoraggiarlo) come a dire “fai pure, tanto sono solo la mamma, con me puoi.”

No, non può. Pugni e calci possono essere fermati in modo deciso anche attraverso il contenimento coercitivo dal quale cercherà a volte di svincolarsi con la forza o con “fughe” quali : “ devo andare in bagno, mi fa male il pancino”, “non posso respirare”, “ho sete”. Sono altri modi di dire che quello che sente è troppo forte per lui/lei. Se lo lasciamo fuggire sarà questo poi che farà spesso a fronte di questo stato interiore.

L’ abbraccio stretto è un ottimo modo per fargli sentire questo contenimento. Tutto quello che il bambino può vivere con e attraverso il corpo ha più facile accesso alla coscienza, è immediato. Il bambino non può ancora farlo per se stesso, allora l’ adulto funge da “Io che contiene”.

Ti contengo fisicamente affinchè tu non ti faccia del male e non faccia del male alla mamma, al papà al fratellino o alla casa. Quando sarai più calmo potremo chiarirci e ti lascerò andare.

Ovviamente i dialoghi devono essere modulati in base al bambino in modo che siano per lui comprensibili. Poche parole, semplici e che spiegano cosa stiamo facendo e perchè.

Dopo che il bambino si sarà sfogato con pianti e tentativi di fuga, quando quindi quell’ energia potente è stata liberata, sarà possibile il dialogo. Durante la crisi è totalmente inefficace e per di più frustrante per entrambi.

Quindi : impedire la fuga, rifiutare l’ aggressione e iniziare il dialogo.

I due non si staccano finchè il conflitto non è chiuso. Questo favorisce un “attaccamento sicuro”. La capacità di vivere e gestire il conflitto senza correre il rischio di essere rifiutato o abbandonato.

E’ importante che nel momento del dialogo il bambino vi guardi negli occhi, quindi si può prendergli il viso per favorire lo sguardo. Allo stesso tempo non è obbligato a guardarvi (è comunque un modo per fuggire) allora lo si può rassicurare

” Tu non sei obbligato a guardarmi ma io ti vedo, devi solo ascoltare come io stò con te”

Da questo momento potrete dire come vi sentite quando lui/ lei hanno atteggiamenti aggressivi e potrete cercare di indovinare quale è il bisogno di base che li muove (chiederglielo direttamente può essere utile come no, dipende dall’ età e dal livello di presenza interiore, a volte nemmeno gli adulti lo sanno cosa sentono veramente quindi non è assolutamente detto che il bambino abbia alla coscienza il perchè si comporti così ). Potete fare domande rispetto agli accaduti, oppure “riesci a dire la stessa cosa con le parole?” e condurvi al bisogno nascosto (una caccia al tesoro davvero molto importante per costruire relazioni sane).

Giudizi svalutativi da parte dell’ adulto, o promesse estorte come “prometti che non lo farai più” e “chiedi scusa” sono del tutto inutili e anzi dannose. Il bambino non si sente accolto, nè protetto in un momento in cui egli stesso non è in grado di farlo, e il suo bisogno rimane inespresso. Alla prima occasione utile l’ evento aggressivo si ripeterà.

Ricordiamoci, inoltre, che esiste un “ordine” che è fondamentale affinchè ogni bambino abbia la possibilità di costruirsi un identità personale e di relazione sana. Ci sono dei grandi e ci sono dei piccoli, i grandi devono fare i grandi ed i piccoli devo fare i piccoli.

I grandi hanno la responsabilità dei piccoli e non il contrario, i grandi orientano i piccoli su come stare meglio e non il contrario ; i bambini possono arrabbiarsi per questo e dirlo ma l’ “ordine” rimane. Questo non vuol dire comandare i piccoli ma piuttosto che è compito del grande riuscire a cogliere i bisogni inespressi, in questo caso specifico e reindirizzare l’ aggressività senza bisogno di instillare sensi di colpa, premi o punizioni.

Parleremo meglio di questo argomento nell’ articolo “La generazione dei piccoli tiranni”.

Maria Rosa Iacco

Mi separo o non mi separo?

Quando due persone entrano nel vortice della domanda: mi separo o non mi separo? si parte con una serie infinita di altre domande che raddoppiano in caso di figli nati dalla relazione.
Purtroppo nessuno può rispondere per noi a quella prima domanda. Ma possiamo descrivere ciò che si attraversa, o per lo meno, ciò che la maggior parte di noi attraversa.
Si stende una lista di pro e contro, scritta o nella propria testa non fa molta differenza. Si individua da che parte pende la bilancia e poi si comincia a fare i bilancieri. Una volta da una parte e una volta dall’altra. A far questo gioco di peso sono i ricordi. Amici o nemici a seconda di ciò che il cuore vorrebbe.
Si analizza ogni singolo momento catartico vissuto dalla coppia e si vorrebbe tornare indietro nel tempo o spingersi nel futuro. Il momento presente, intrinseco di incertezza, rabbia, paura, tristezza, dubbio, è ciò che rifiutiamo più di tutto. Chi vivrà nel passato tenderà alla depressione, chi si protrarrà verso il futuro abbraccerà la paura. Così fomenteremo l’immobilità della tristezza o la lotta e la fuga della paura. Perderemo la lucidità, ci muoveremo a tastoni come quando ci bendavano da bambini per giocare a mosca cieca. Tutto ci apparirà diverso, privo di senso logico. Saremo disorientati e non sapremo più chi avremo davanti. La domanda per eccellenza arriva quando sale la rabbia e si inizia il gioco al massacro. A quel punto ci si chiede quando esattamente e come è stato possibile passare da “amarsi follemente” a diventare “due estranei”. Sembra che fino al giorno prima o al mese prima avremmo dato tutto per quella persona e improvvisamente, come destati da un sonno profondo, ci accorgessimo che in realtà non sappiamo nemmeno chi sia. Si alimenta così il pensiero dell’inganno, figlio della rabbia, che fomenta e distanzia, distrugge e palesa ciò che crediamo di non aver voluto vedere. E buttiamo via l’intero periodo passato con quella persona, ci lasciamo trascinare nell’oblio dal dubbio dell’abbaglio e del tradimento. Questo sembra aiutarci e spingerci verso una direzione. Se tutto è da buttare, se forse mi hai ingannato per tutta la vita passata insieme, chiudo tutto in un cassetto e smetto di soffrire.

In realtà, se buttiamo via tutto, non gettiamo solo l’altro, ma anche noi stessi. Cominciamo a pensare di essere dei creduloni, di sbagliare sempre tutto, di non saper valutare chi abbiamo di fronte, di non essere in grado di capire a chi dare fiducia e a chi no. L’autostima si abbassa, ci sentiamo ancora più persi di prima.


Il conflitto iniziale è molto alto. Si passa da carnefice a vittima in un gioco di ruoli estenuante. Non ci si comprende più, ci si sente lontani anni luce. Si arriva ad avere paura dell’altro, ad avere rabbia cieca, come solo verso un nemico avremmo immaginato.
Ed è vero che tutto passa, ma nel frattempo…. porca vacca!
La cosa che ci coglie impreparati poi è la sofferenza. Non si pensa, non si immagina, il grado di sofferenza che si arriva a provare. Si cerca il fondo del barile, ma sembra di non arrivarci mai.

C’è chi lotta per restare e chi per andare. Chi pensa all’altro come una scialuppa mentre nuota in mare aperto e chi lo vede come la tempesta che l’ha fatto naufragare. La lontananza degli intenti porta all’esasperazione del più piccolo conflitto. Si ricerca una ragione unica, una verità super partes che non esiste. Si resta incastrati nel tentativo di dimostrare chi dei due è nel giusto. La pretesa errata sta nel credere che la via dev’essere comune ad entrambi. Si ricerca un’approvazione dall’altro che in quel momento non può dare.

La recriminazione dei crimini e i danni collaterali connessi ad esso sono all’ordine del giorno e non si comprende più chi dei due abbia cominciato.
La necessità di riportare l’ordine e la giustizia , ci fa mettere in cattedra e puntare il dito. Tanti lo hanno puntato anche verso se stessi, ma nulla si ottiene se non altra sofferenza intesa come senso di colpa.


Come fare dunque per uscire da questo circolo distruttivo?
Cercando ognuno le proprie risposte per il qui ed ora. Pensando che l’altro troverà le sue e che ognuno dei due è quello che è. Non saremo noi a farlo cambiare. E non sarebbe nemmeno giusto. Alimenteremmo solo un altro circolo vizioso.
La domanda è : che cosa voglio io? Di che cosa ho bisogno io?
Bisogna prendersi del tempo, curarsi, rispondere con estrema sincerità.
Una volta avute le proprie risposte si può parlare con l’altro delle sue. Qualcuno si incontrerà nuovamente e a quel punto sceglierà insieme quale strada intraprendere. Qualcuno si allontanerà, ognuno per la propria strada, ma con una libertà nuova, una consapevolezza diversa che è quella per cui non si rispondeva ai propri bisogni e si stava remando verso l’infelicità.
Questo ci permetterà di non buttare via un’intera storia, di conservare il bello che c’è stato e di arrivare a pensare che non era più tempo per quel noi che ci ha comunque dato tanto.
Ci sono processi relazionali che richiedono anni per essere elaborati e riordinati. Ci vogliono terapie, viaggi solitari, distruzione totale alle volte e poi ricostruzione. Ci si perde e ci si sgretola finchè ad un certo punto bisogna mettere di nuovo insieme i propri cocci.

Ciò che uccide i rapporti sono le aspettative. Nel momento in cui nutro dei sentimenti per una persona, quella persona viene investita del mantello del supereroe. C’è chi venera l’altro e lo percepisce come un essere infallibile e chi viene venerato e si sente tale. Ad un certo punto l’adulatore verrà deluso nella sua aspettativa, ma non dirà nulla, o comunque penserà di poter dimenticare; l’adulato vivrà o il senso di colpa per aver deluso chi tanto ha dato, o si sentirà insostituibile agli occhi dell’adulatore. Ed ecco che inizia il gioco della distruzione. La verità viene manipolata dalla visione dell’uno e dell’altro fino ad accumulare una serie di realtà distorte che portano al collasso la relazione, apparentemente di punto in bianco. Nel momento in cui ci mettiamo un gradino più in alto o uno più in basso dell’altro ci stiamo già fregando con le nostre mani. È importante la conoscenza di se stessi perché ci spinge ad avere relazioni nella verità. È difficile dirsi e dire la verità. Essere se stessi anche rischiando di non piacere all’altro. Ed è difficile stare accanto ad una persona che vive nella verità. Se però entrambi si vivesse nella propria verità, nella condivisione della stessa, si donerebbe all’altro il sentimento più alto che possa essere vissuto: la libertà. Vivendo nella verità si libera se stessi e l’altro da quelli che sono giochi erotici che possono divertire, ma che portano alla distruzione.

Una trappola in cui si inciampa spesso è credere di non poter sopravvivere senza l’altro, di non avere più possibilità di felicità. Questo perchè si delega all’esterno ciò che in realtà può arrivare solo da noi. Ci si aggrappa dunque all’idea dell’amore e non solo intrappoliamo noi stessi, ma anche l’altro. E’ necessario dunque prendersi un tempo per guardarsi dentro, dirsi la verità, guardare le proprie paure e controllare che non abbiano preso il comando delle nostre scelte.

Siate felici. Comunque vada.

Manuela Griso

La perfezione secondo Natura

Siamo incastrati in una cultura che ci impone la performance ad altissimo livello in ogni ambito della vita e in ogni momento. Non possiamo avere un cedimento, un momento down, perché veniamo immediatamente etichettati o, peggio, sostituiti.

Questo succede anche ai bambini. Fin dalla nascita essi vengono paragonati a fratelli, figli di amici, tabelle mediche. Devono stare dentro a certi parametri, sempre sotto la lente d’ingrandimento dell’adulto che ne analizza con scrupolosa attenzione ogni minimo particolare e, spesso, per trovare la falla, il difetto, il problema. Per ansia da prestazione dell’adulto: “E’ nato da me, se non è perfetto sono un fallito!”; senso di inadeguatezza e paura del giudizio: “Chissà cosa mi dirà il pediatra che non ha preso il peso stabilito questa settimana… “. Il bambino cresce così a contatto con il genitore prestazionale che pretende da sé, e dal piccolo, un’idea di perfezione illusoria. Alimenta la macchina dell’idea culturale diffusa e si mette al suo servizio, plasmando se stesso e il proprio bambino della forma prestabilita dalla società e privando il mondo dell’unicità.

NON VOGLIAMO BAMBINI PERFORMANTI MA FELICI!

Questo sarà lo slogan sulle magliette che farò preparare per i genitori soci della nostra associazione (Associazione Culturale “A piccoli passi si cresce” ndr.)!

E’ più importante ciò che si fa o ciò che si è? Si crede ancora troppo che chi più fa più è. Se davvero così fosse, con tutti i soldatini che si creano, sarebbe un mondo davvero bellissimo. Forse invece, chi è troppo impegnato a fare senza amare, si perde ciò che è.

Chiedere e pretendere sempre e solo la perfezione porta ansia, paura, inadeguatezza, rabbia, tristezza,scarsa autostima, instabilità emotiva, rafforzamento del falso sé.

Si definisce l’essere umano UNICO, nessuno è uguale ad un altro, nemmeno tra gemelli omozigoti. Come si può, partendo da questo concetto, pretendere che tutti crescano allo stesso modo nello stesso tempo, che sappiano compiere le stesse azioni nello stesso modo e nello stesso tempo? La cosa che ancora stupisce è che ci sia un grande interesse per quello che si fa e non ci si preoccupi invece che questo bambino o questa bambina siano generosi o egoisti, socievoli o solitari, timidi o estroversi, tristi, arrabbiati o felici; non ci si domandi che cosa amino fare. Si pretende che tutti siano letterati e informatici, abili in tutte le attività proposte. Ma se siamo tutti UNICI, non dovremmo cercare la nostra unicità e portarla nel mondo? Concentriamoci sui Talenti, alimentiamoli, rafforziamoli, mettiamoli a disposizione nostra e degli altri. Immaginiamo un mondo in cui ognuno possa esprimere il proprio talento. Come ve lo immaginate? Vedete anche voi un mondo ricco di amore, di vibrazioni ad alte frequenze, di pace interiore ed esteriore?

Il bambino apprende facilmente con la combinazione di due fattori:

-Un ambiente fisico preparato in cui possa fare esperienze spinto dal suo maestro interiore e nella libertà di scelta (anche l’ambiente naturale)

-Un ambiente psichico calmo, entusiasta, curioso, non giudicante

Quell’ambiente (sia fisico che psichico) dipende dall’adulto. Prepararlo è un elemento imprescindibile affinchè l’essenza del bambino si manifesti. Mentre l’ambiente fisico lo si prepara con competenze pedagogiche, l’ambiente psichico lo si prepara educando noi stessi. Siamo noi che poniamo le basi emotivo-relazionali del bambino e, dato che il primo specchio di me stesso arriva dai miei genitori, è bene che ci si prepari a questo momento. Non possiamo dare all’anima bambina l’idea di essere “imperfetta”.

“Una parola di incoraggiamento durante un momento di difficoltà, vale più di un’ora di lodi dopo il successo” Anonimo

Le grandi sfide emotive di bambini, bambine e adulti, stanno proprio qui: io non sono perfetto. Questa idea di imperfezione alimenterà sentimenti che non ci aiuteranno a progredire, a mutare, al continuo cambiamento che è la vita stessa.

La ricerca continua all’idea di perfezione ci imbriglierà in un gioco al massacro, in cui usciremo sempre sconfitti.

Allora cambiamo occhiali. Guardiamoci e osserviamo l’unicità. Sta lì la VERA perfezione. Ogni essere umano è perfetto per com’è. Non per ciò che fa.Non facciamo confronti, perchè siamo tutti diversi. Non si può paragonare una rana ad un elefante. Nasciamo “perfetti”, laddove “perfezione” significhi “unico nel suo genere”.

“Maestro, mio figlio ha riportato la pagella con un voto basso in matematica e alto in disegno. Vado a cercare un professore esperto in matematica che lo possa aiutare? Assolutamente no, vai a cercare il maestro di disegno più bravo che ci sia” Jodorowskj

La corsa al fare per “arrivare” non ci rende felici. L’amare ciò che si fa, invece, ci fa entrare in quello stato di “sballo sano” che restituisce alla nostra anima lo stesso amore che ha donato.

Manuela Griso

Spazio e Tempo: come insegnarlo ai bambini?

L’educazione in Natura è quella più ambita da ormai diversi anni, da quando numerosi studi scientifici hanno posto l’attenzione sull’importanza del vivere in natura e soprattutto sul crescere a contatto con gli elementi naturali e i benefici ad essi connessi, sia fisici che cognitivi e comportamentali e, naturalmente, emotivi. Per questo sono nati numerosi progetti, in continuo mutamento, attenti alle esigenze dei bambini e al rispetto di Madre Terra.

In tempi di Covid19, in cui si pensa ad un nuovo modello di scuola e di educazione, con un forte richiamo alla Natura e al fatto che essa ci consentirebbe non solo le distanze che non possono essere attuate dentro a quattro mura con il conseguente beneficio sanitario, ma anche di vivere la bellezza del tempo e dello spazio in cui siamo, vi voglio parlare delle competenze di orientamento spaziale e temporale.

ORIETAMENTO SPAZIALE

La necessità di orientarsi nello spazio non è solo una competenza didattica, ma aiuta il bambino nel movimento, nella gestione del corpo e nella collocazione di sé, degli altri e degli oggetti nello spazio. Per questo motivo è importante dare degli strumenti al bambino per esercitare questa competenza fondamentale. Sapersi orientare nello spazio gli permetterà, successivamente, di orientarsi sul foglio.

Come insegnare al bambino ad orientarsi nello spazio?

La conoscenza di sé, del proprio corpo e delle sue parti è un elemento di base, che pare scontato forse, ma così non è. Per cui, fin dalla più tenera età è importante nominare le varie parti del corpo e , quando il bambino sarà pronto, chiedere di toccare la parte del suo corpo che viene nominata.

“Dov’è il piede?” “Tocca la pancia” “Mi fai vedere la lingua?” e così via.

A mano a mano che cresce, il bambino inizierà a muoversi. Dapprima gattonando, poi si alzerà in piedi. Da qui possiamo iniziare a domandare al bambino :“Tocca il pavimento”, “Guarda SOTTO al tavolo” “Puoi mettere il cucchiaio SOPRA al tavolo?” “Mettiamo la palla VICINO al papà” “Portiamo i peluches LONTANO dalla cuccia del cane”Se si chiede al bambino di toccare un oggetto , possiamo toccarlo anche noi e aggiungere degli aggettivi descrittivi come per esempio: “E’ freddo!” o “E’ morbido” ecc ecc… Questo permetterà al bambino di far proprie le prime competenze spaziali.

Si procede a piccoli passi. Quando vediamo che il bambino ha acquisito sufficienti esperienze per poter interiorizzare le competenze, continuiamo il nostro percorso e introduciamo DENTRO/FUORI, DAVANTI/DIETRO,TRA/IN MEZZO, DESTRA/SINISTRA, AVANTI/INDIETRO.Si parte sempre dal mostrare al bambino nominando l’azione: “Stiamo DENTRO al cerchio”,“Metto la palla DAVANTI alla pianta”, “Guardo DIETRO al cespuglio” “Guarda, la bambola è TRA la palla e le costruzioni” e così via. Per quanto riguarda la destra e la sinistra si può utilizzare la vita pratica, in particolar modo l’Apparecchiatura del tavolo: “Con la mano DESTRA prendo il cucchiaio” “Prendo la forchetta con la mano SINISTRA”.All’età di 5/6 anni si possono introdurre i punti cardinali, sempre partendo da elementi reali (la posizione del sole).

E’ un processo che impiegherà qualche anno prima di essere completato, ma è fondamentale per creare le basi dell’orientamento spaziale.

Con le competenze spaziali si possono creare tantissimi giochi di movimento , che salderanno ancora più profondamente ciò che è stato appreso, oltre a creare un collegamento con la coordinazione motoria.

L’orientamento spaziale più tangibile è in Natura. Se sono in mezzo ad un bosco, orientarmi non sarà così facile, ma se lungo il cammino osservo l’ambiente e mi colloco al suo interno in termini spaziali (il faggio grande è alla mia destra, devo poi spostarmi sulla sinistra vicino al ciliegio e prendere il sentiero tra le felci e le betulle) saprò esattamente dove andare. Provare per credere!

ORIENTAMENTO TEMPORALE

Si sa che l’orientamento temporale è di difficile comprensione, perchè non lo vedo e non lo posso toccare. Possiamo però farci aiutare, anche qui, dalla Natura.Il giorno e la notte sono sicuramente la base da cui partire. Essi faranno comprendere al bambino il primo grande mutamento ambientale che avviene grazie allo scorrere del tempo. Le stagioni, fortunatamente, esistono ancora (almeno in Italia e in alcune parti del mondo) e sono un valido supporto per far comprendere un altro grande mutamento dello scorrere del tempo.

La sperimentazione sensoriale ed emozionale dello stare in natura in tutte le stagioni, mostrerà, in modo chiaro e indelebile, al bambino, che c’è un qualche cosa che fa subire dei mutamenti al giardino della sua casa, della sua scuola, al bosco che conosce bene. Questo gli consentirà di porre attenzione a questi cambiamenti, perchè influiranno anche sui suoi sensi.

In inverno sentirà freddo, le mani diventeranno rosse, chiederà una giacca più pesante; in estate avvertirà caldo sole sulla pelle, lotterà per poter togliere il cappello e si infastidirà per la crema solare e le zanzare, ma amerà bagnarsi e stare all’aria aperta; in autunno vedrà i colori delle foglie, sentirà il vento e la pioggia, salterà con gioia nelle pozzanghere; in primavera annuserà i fiori, ne osserverà la varietà di forma e colore, imparerà a riconoscere qualche erba selvatica. Ora, dopo aver vissuto l’esperienza, averla fatta propria, avvertendola sul proprio corpo e con i propri sensi, sarà pronto per vederla rappresentata. Potremo allora creare una “linea delle stagioni”, in cui accompagneremo con immagini pensate e sentite, il loro viaggio nel tempo. E’ importante , per la collocazione temporale, usare i termini tipici IERI,OGGI,DOMANI, accompagnati da un racconto di un’esperienza e di una emozione vissuta, per poter comprendere a poco a poco, la differenza. A tal proposito potrebbe essere utile fare un cerchio al mattino(in una scuola o a colazione in famiglia) in cui si domanda ai bambini: chi si ricorda una cosa che abbiamo fatto ieri? Pausa. Poi: “Ti è piaciuto?” “ Non ti è piaciuto?”

Dopo la risposta dei bambini si può dire: OGGI faremo ….. (e si illustra al bambino il programma della giornata). Lasciate spazio al bambino di interagire e,quando è possibile, di prendere parte alla scelta di ciò che si desidera fare in quella giornata.

Introducete il DOMANI al venerdì o se il giorno successivo c’è un evento particolare (il compleanno, natale, la partenza per il mare o la montagna, una gita…).

Quando avranno ben salde le prime competenze potete allargare le conoscenze introducendo i giorni della settimana, sempre legati alle parole temporali che già conoscono. Es. “Ieri,giovedì, cosa abbiamo fatto?” “Oggi, venerdì, faremo…”

A poco a poco comprenderanno che ci sono altre parole per misurare il tempo. Si allargherà poi ai mesi e si legherà alle stagioni, che già conoscono. Chiaramente si possono introdurre i nomi dei mesi già quando si sperimentano le stagioni, ma per i bambini sono ancora termini molto astratti. Sarà più chiaro quando avranno compreso lo scorrere dei giorni.

E’ anche questo un lavoro lungo e complesso, ma affiancando esperienze sensoriali e pratiche (la semina di una piantina che viene giornalmente osservata,per esempio) darà al bambino le basi per potersi costruire la sua linea del tempo. Sarà divertente per esempio affiancare la crescita personale del bambino allo scorrere del tempo. Misurare per esempio l’altezza una volta al mese.

Più il bambino verrà coinvolto a livello corporeo ed emotivo, più sarà facilmente incuriosito.

Riconsegniamo a noi e al bambino la lentezza, la possibilità di assaporare il tempo che passa e di osservare davvero, facendone parte, il luogo in cui ci si trova.

Riprendiamoci il QUI ed ORA.

Manuela Griso

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