C di Coerenza per sostenere l’adolescenza

Ahhhhh l’adolescenza! Quell’incredibile e sconcertante momento in cui stai parlando con tuo figlio/a e d’improvviso se ne va arrabbiato e offeso e non sai nemmeno il motivo. Quel periodo in cui tutto quello che dici è dannatamente sbagliato, quello dell’incomunicabilità. Di colpo, in casa, ti sembra di avere una persona che parla un’altra lingua, uno straniero venuto da lontano, che ha le sembianze del tuo caro ragazzo/a, ma con cui non riesci a parlare, non vi comprendete. Nonostante i tuoi sforzi di leggere le sfumature, i sorrisi, gli sguardi truci, non ce la fai, non li comprendi e alle volte ti fanno pure arrabbiare. Ed è lì che da una scintilla ti ritrovi in casa l’incendio che viaggia a velocità supersonica e tu non sei un pompiere. Non hai l’estintore o non lo sai usare. Cosa puoi fare?
Avvolgiamo per un momento il nastro e torniamo a quando tuo figlio/a aveva 1 anno circa. Inizia a camminare, a parlare, ad interagire in modo importante con l’ambiente che lo circonda e con voi (già da prima, ma i ricordi ora potrebbero risultarvi sfumati). Bene, ora pensate a tutte quelle situazioni in cui il vostro bambino desiderava fortemente qualcosa e voi glielo avete concesso, fino al giorno in cui quella richiesta vi sembrava superata o vi pareva che qualcosa non andasse più bene e di conseguenza avete detto NO, oppure non glielo avete concesso fin da subito. Molto bene. Ora che avete la situazione in mente, iniziate a rivedere il film. Cos’ha fatto vostro figlio di fronte a quel no?
Probabilmente ha pianto, magari ha sbattuto i piedi, urlato arrabbiato le emozioni che stava provando in quel momento; magari vi ha alzato le mani, o ha sbattuto degli oggetti a terra.
E voi come avete reagito?
Lo avete consolato? Avete tentato di spiegare? Avete compreso il suo comportamento e le sue emozioni o le avete sminuite perché vi sembravano esternazioni esagerate?
E dopo che cosa è successo? Avete continuato a gestire la frustrazione dettata dal no (sua e vostra) o avete svoltato sul SÍ?
È importante che voi ripensiate a quel momento e a tutti quelli  che si sono susseguiti nel tempo, negli anni a venire.
Se avete mantenuto il punto, spiegando le motivazioni che vi hanno portato a cambiare idea (l’età del bambino è una discriminante importante.  Per esempio lo avete sempre vestito voi, da un certo giorno in avanti, decidete che può iniziare a provare da solo. La frustrazione, il senso di abbandono e di ingiustizia, di incapacità può essere avvertito in modo importante dal bambino.), avete accolto le sue emozioni, siete rimasti e lo avete accompagnato al cambiamento, o se avete lasciato andare la battaglia e avete optato per il sì, per mille ragioni, stanchezza vostra, del bambino, il dubbio di aver sbagliato a dire di no, i ricordi della vostra infanzia intessuta di negazioni, o il pensiero che il vostro bambino stia soffrendo molto e, in fondo, perchè dirgli di no?
I bambini hanno bisogno di coerenza. Certamente l’età inficia molto e i cambiamenti sono non solo necessari, ma indispensabili. Scegliete bene però le vostre battaglie.

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Se ritenete fondamentali certi NO, non fateli diventare SÌ. PER NESSUNA RAGIONE. Il bambino piangerà, scalpiterà, vi accuserà, si arrabbierà e compirà vari gesti, ma rimanete fermi come un faro nel mare. Non lasciatevi travolgere dalle sue emozioni, altrimenti rischiate di andare a fondo con lui e questo non gioverà a nessuno dei due. La frustrazione è necessaria allo sviluppo del bambino per imparare a gestire le sue emozioni, per trovare strategie di soddisfazione diverse di quello che in quel momento avverte come un bisogno, di acquisire tecniche di mediazione, di gestire l’insoddisfazione, di comprendere che ci sono dei NO necessari, dati per il suo bene. Certo questo non dev’essere uno stato permanente, una condizione costante in cui il bambino è immerso, altrimenti si può generare bassa autostima e considerazione di sè, dei propri bisogni; può generare sentimenti di scarsa cura e un  attaccamento insicuro alle figure di riferimento.
Tutto deve essere dosato e con “scegliere le proprie battaglie” intendo proprio questo. Non possiamo far sì che il NO sia il  modus operandi predefinito con nostro figlio, ma nemmeno cadere nel lato opposto. Se il nostro NO diventa SÌ, il bambino penserà che può accadere con tutti i no, che non sono così definitivi e che nella vita ci possa sempre essere una scorciatoia, basta pestare i piedi più forte.

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Ora, se torniamo all’adolescente, e vediamo un ragazzo/a cresciuto con l’incoerenza, capiamo bene come in questa fase di totale affermazione della propria individualità, dove si fa spazio la personalità, scalpitando a più non posso per distinguersi dai genitori, sia naturale il tentativo di dissuadere e schivare ogni No. Cosa ci salva?
La coerenza che abbiamo avuto negli anni. Ogni NO rimasto tale. Questo ha permesso al bambino non solo di conoscere le regole della propria famiglia, i valori e le dinamiche relazionali, ma anche il senso di quel No. Al di là delle spiegazioni che possono essere arrivate nel tempo, se quel No è rimasto tale, vuol dire che era davvero importante, vuol dire che posso farci affidamento, diventa una SICUREZZA.
Il dire sempre sì ci assicura rapporti morbidi, sicuramente poche sfide e molti grazie. Può però generare anche insicurezza, il pensiero di non essere abbastanza importante per il genitore, perché “pur di non avermi tra i piedi, mi dice di sì”. L’affermazione positiva  non è sinonimo di amore. Alle volte significa “almeno così  non mi scocci” o “vai pure almeno non mi devo occupare di te”; generando spesso moti di rancore che paiono immotivati “ti ho detto di sì perché dovresti essere arrabbiato?”  Perché mi sento in mezzo al caos e tu non mi dai una direzione sicura, mi lasci in balia del mare perché tenere il timone è troppo faticoso. È più facile lasciare che tenere. È più facile il sì del no.
Ma non saranno i sì detti per non creare frustrazione che aiuteranno i rapporti nell’ adolescenza. Saranno i NO coerenti e i SÌ sentiti che permetteranno un dialogo aperto, la gestione adeguata della frustrazione, la saldatura del rapporto anziché la rottura.
Le mie figlie sanno che ci sono dei NO che sono imprescindibili. Non provano nemmeno a farli diventare sì. Perché sono NO dalla nascita ad oggi. E ora che sono adolescenti e pre-adolescenti, quelli sono i paletti fissi, quelli sicuri, che limitano i confini e la zona di movimento che sta nel mezzo. Non sono cambiati, sono ciò che ha illuminato la loro strada e le aiuta a mantenere la via.   È questo che ci consente di tenere il rapporto al sicuro nonostante le discussioni e le arrabbiature.

Negli anni sicuramente, come detto prima, ci sono dei cambiamenti necessari e indispensabili. Non possiamo pensare di dire ad un ragazzo di 15 anni di andare a dormire alle 21, ma per un bambino invece è un orario adeguato. Ci sono dei No che variano con le fasi di sviluppo e di vita del bambino, dei No detti in circostanze particolari, per salute magari, ma ci sono dei No che non possono cambiare mai. Riguardano i valori che una famiglia sostiene, le dinamiche relazionali tra i componenti, le mediazioni ottenute tra genitori su questioni etiche magari; i No detti per salvaguardare l’incolumità dei bambini e dei ragazzi, che sia fisica o psichica. C’è un mondo intero là fuori che cambia costantemente. Siamo in balia di cose talmente grandi che tutto può apparire effimero e dire di sì, almeno noi, ci pare come una sorta di ricompensa dovuta, come un ombrello che ripara dalla tristezza. Non siamo immuni.

Dobbiamo attraversarla la tristezza per saperla affrontare; la rabbia può essere distruttiva se non impariamo a canalizzarla; la frustrazione può sopraffarci se non impariamo che siamo in grado di fare a meno di quella cosa che tanto desideriamo ora. Diamo la possibilità ai nostri bambini di sperimentarsi, credendo che ce la possano fare, stando loro accanto nel momento di crisi acuta, comprendendo i loro sentimenti, legittimandoli, ma rimanendo fermi in quella che è stata la nostra scelta, fidandoci di noi stessi e del fatto che l’abbiamo compiuta in uno stato di lucidità, per il bene del bambino.

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I nostri figli potranno anche odiarci in alcuni momenti, crederci ingiusti, rigidi, incapaci di comprensione, ma alla lunga, se siamo rimasti con loro, se non li abbiamo lasciati soli, riconosceranno che le nostre scelte, anche quelle dolorose, erano per il loro bene.

La palestra emotiva è l’unico strumento che consentirà ai nostri bambini di diventare ragazzi e adulti consapevoli delle proprie emozioni e in grado di accettarle e gestirle. La nostra coerenza sarà il faro che li guiderà nelle loro scelte future e ciò che consentirà loro di comprenderci anche nel momento in cui saremo più distanti.

L’ ABITUDINE AL LAMENTO ; riconoscerla per superarla (o evitarla).

Sono oramai noti gli studi scientifici che dimostrano come le lamentele possano incidere in modo negativo sull’attività neuronale. La lamentela viene processata dalla stessa parte del cervello deputata al problem solving : chi espone la lamentela (inclusi noi stessi )emette onde magnetiche sui neuroni dell’ippocampo rendendo inattivo il processo creativo di risoluzione dei problemi.

La lamentela come abitudine protratta nel tempo riduce, dunque, la capacità creativa di trovare soluzioni alle situazioni più disparate della nostra vita.

Il nostro cervello si nutre, come ogni parte del nostro corpo ; nutrendolo con lamenti (propri o di altri) perderemo gradualmente quella capacità di pensiero che porta ad avere la fiducia necessaria a riconoscere che è sempre possibile una soluzione. Non lo chiamerei “ottimismo” e nemmeno “pensiero positivo”, preferisco definirlo “pensiero cosciente”.

Se abbiamo vicino una persona con questa abitudine , spesso in sua presenza potremmo sentirci spossati, privati di energia e spenti. Per quanto bene vogliamo a questa persona tenderemo ad evitarla, ogni nostra parola di conforto sembra non avere presa e ci sentiremo probabilmente anche sfiduciati nei suoi confronti, confermando l’idea che ha già da se, cioè “non c’è rimendio”. Queste persone tendono a non voler ricercare soluzioni ,ponendo ogni proposta di fronte ad una serie di insormontabili difficoltà. Lo fanno, ovviamente, in modo inconsapevole e portate , appunto, da un abitudine. In alcuni casi la miglior soluzione è il distacco, creare la giusta distanza entro la quale non ci sentiamo depradati o inquinati da questa modalità.

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Se siamo noi a passare la maggior parte del nostro tempo a lamentarci la prima cosa da fare è accorgersi, prendere consapevolezza di questa abitudine portando attenzione ai nostri racconti, a cosa condividiamo con i nostri cari e amici, e sopra ogni cosa, portando attenzione alla qualità dei nostri pensieri.

Di grande aiuto possono essere anche le sensazioni fisiche : se dopo una condivisione ci sentiamo come svuotati, scarichi e stanchi, come aver vuotato il secchio dell’immondizia ; se abbiamo l’idea che ciò che stiamo vivendo rimarrà così per sempre, se vorremmo che ciò che ci circonda fosse diverso da ciò che è , se ci sentiamo vittime (di qualcuno o della vita, passata o presente)…

La chiave del cambiamento è la Presenza attiva e partecipativa alla nostra vita, inclusi i nostri pensieri, senza questa presenza attiva sarà probabilmente molto difficile anche solo, appunto, accorgersi e dunque attivare tutto ciò che è necessario per cambiare.

Si può invertire l’abitudine al lamento? Certo che si, come per qualunque ‘cattiva’ abitudine servono costanza, tempo ed esercizio.

L’inversione di marcia del lamento è la GRATITUDINE. Un pensiero volto alla gratitudine trova la fiducia nella vita necessaria a radicare in sè la convinzione che c’è una soluzione per tutto.

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Ecco alcuni esercizi utili :

  • Ogni sera , prima di andare a dormire, scrivere almeno 3 cose per cui si è grati della giornata appena trascorsa ; anni fa, quando ero nel pieno della mia ristrutturazione del pensiero, scrissi i 100 giorni di gratitudine, fu un esercizio fondamentale per correggere anni di abitudine al lamento.

  • Condividere con gli amici o i familiari ciò che di positivo ti ha portato la giornata o un’esperienza . Siamo abituati a trasmettere ciò che non ha funzionato, un po’ perche siamo convinti possa scatenare una maggior empatia, un po’ perche a volte non abbiamo altri argomenti . Prova ad ascoltare una normalissima conversazione al supermercato, o in fila alla posta o in qualunque contesto sociale: spesso il focus è su ciò che vorremmo diverso, sui problemi, sulle mancanze. Paradossalmente c’è più compagnia nell’infelicità, condividere l’infelicità ,per qualunque ragione, ti fa sentire parte di un gruppo. Quando inverti la rotta ti accorgi che puoi parlare di molto altro, dei sogni, delle aspirazioni, di ciò per cui sei grato, del bello che ti circonda o del bello che riconosci nell’altro, anche se si tratta di sconosciuti!

  • Esercitarsi a vedere il bello in ogni cosa. Persino nel momento più buio possiamo apprendere qualcosa di nuovo, o vedere una nuova prospettiva, nulla nella vita accade per caso, la vita accade per essa stessa , senza alcuna connotazione positiva o negativa, siamo noi ad attribuire un significato alle esperienze , siamo noi, dunque a poter scegliere su cosa soffermarci, cosa trattenere e cosa lasciar andare.

Accogliere la vita per come è non è accettazione cieca e passiva, è anzi, il primo passo per il cambiamento. Non è sbagliato voler migliorare la propria vita, ciò che ci avvelena è la pretesa di volerlo fare dalla negazione di ciò che c’è in questo momento.

Il pensiero è energia in una direzione, le parole creano il mondo.


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