Quante volte ci siamo trovati nella condizione di dire o pensare: “Questo bambino non mi ascolta mai!” ? Ci sarà capitato, da genitore o da insegnante/educatore, diverse volte in svariati momenti di sviluppo del bambino/ragazzo.
Inizialmente dal confronto con gli altri sentiamo: “Ah ma anche il mio fa così. E’ come suo padre/sua madre!” oppure “E’ normale, è nel periodo dei terrible two!” o ” Eh cosa vuoi fare, è un adolescente!” o ancora “Lo fa apposta per provocarti!”
Ma siamo sicuri che la risposta sia così semplice e soprattutto totalmente incentrata su una responsabilità più o meno volontaria del bambino/ragazzo?
Più volte mi è capitato di trovarmi davanti a questo interrogativo ed ho iniziato a riflettere su più fattori, generando così molte altre domande. Proviamo ad indagare insieme.
Questo bambino o questa bambina, o questo ragazzo/a, quale storia ha? Partiamo proprio dalle origini. Che tipo di gravidanza è stata? Com’è stata vissuta dai genitori?


E’ un bambino che è o è stato iper vigilato? Per iper-vigilanza si intende una condizione di eccessiva osservazione in stato di allerta su persone e ambiente circostante. Un adulto che è costantemente in contatto con il bambino, tanto da influire sulla propria vita quotidiana, lavorativa, sociale ed affettiva, che non riesce a permettere al bambino di stare in un’altra stanza della casa senza chiamarlo costantemente per timore di qualche pericolo, può ottenere, come effetto domino, un bambino o un adolescente che non sentirà nemmeno più quando lo chiamano per nome e questo non per poco ascolto, ma perchè troppo esposto a continui richiami senza scopo che fanno sì che il cervello registri quella data circostanza come “non degna di attenzione”.
E’ o è stato un bambino molto rimproverato?
Il bambino che sente il proprio nome spesso accompagnato ad un rimprovero, ha fatto questa associazione e sarà dunque più sfuggente al richiamo, perchè la sua esperienza pregressa ha tracciato questa equazione nel suo cervello: mio nome= rimprovero. Di conseguenza, per timore della reazione dell’adulto, egli tenterà di ribellarsi, fingendo di non aver sentito.
E’ o è stato un bambino poco guardato?
Come l’ipervigilanza, anche la non attenzione può portare il non ascolto da parte del bambino. Perché? Se tu non mi guardi, io faccio in modo che tu lo faccia attirando la tua attenzione comportandomi “male” cosicché tu possa rimproverarmi e quindi “vedermi”.
E’ o é stato un bambino non ascoltato?
Da sempre ci dicono che se vogliamo rispetto dobbiamo dare rispetto e così via per tutta la serie di buone azioni che si possono compiere. L’ascolto non fa eccezione. Se vogliamo ascolto dobbiamo donarlo. Quante volte i bambini parlano e gli adulti fingono di ascoltare? Magari l’argomento per loro è sciocco o banale, magari è preso a fare altro, magari guarda il telefonino, forse taglia corto perchè ha fretta o ancora peggio, interrompe per dire altro che ritiene più importante. Come può sentirsi un bambino in quel momento? Se proviamo a metterci nei suoi panni forse potremmo comprenderlo, ma ancor meglio ce lo fanno comprendere quando siamo noi a parlare con loro ed essi continuano le loro faccende non curandosi di noi. Come ci sentiamo in quel momento? Ecco, dovremmo tenerlo bene a mente e farne tesoro al fine di non ripeterlo a nostra volta.
E’ o è stato un bambino che fatica ad esprimere le proprie emozioni?
Questo, già indice di altre riflessioni, potrebbe essere un’altra spiegazione al poco ascolto che sembra riservare agli altri. Se un bambino non esprime le proprie emozioni può essere perchè non si senta ascoltato, ma può essere anche che se ne vergogni o che non le conosca perché non si ascolta nemmeno lui/lei. Può esserci una momentanea disconessione mente-corpo che non gli permette di sentire quello che prova, figuriamoci ascoltare uno dall’esterno. E’ qui che l’adulto può agire, partendo dall’ascolto di sé.


Quando si parla di ascolto è necessario attuare strategie di comunicazione efficace, al fine di bypassare delle resistenze che il cervello umano agisce per protezione rispetto agli stimoli che ritiene inutili per il proprio sviluppo o che gli comportano un investimento di energia superiore al dovuto. Per esempio è più facile che una persona ci ascolti se usiamo poche parole, chiare e che vanno dritte al punto, piuttosto che un discorso lungo e arzigogolato in cui si gira intorno all’argomento che si vuole trattare senza poi arrivare davvero al contenuto “ciccio” della conversazione. Con i bambini e agli adolescenti funziona ancora meglio il messaggio visivo.
Esempio: si rientra a casa e le scarpe vengono lasciate fuori dalla scarpiera. Per il genitore questo è un problema. Si crea disordine, ne fa una questione di pulizia e di buoncostume. Il bambino/ragazzo non ha la stessa visione del genitore, non ne comprende l’importanza e puntualmente lascia le scarpe dove gli capita. Il genitore può, tutti i giorni, arrabbiarsi, alzare il tono della voce ricordando di mettere le scarpe al loro posto, minacciare di metterle fuori casa e tutte le punizioni più fantasiose per cercare di far rispettare la regola oppure può mettere un disegno o una scritta in un punto ben visibile. Il disegno può essere solo della scarpa o una persona che riordina le scarpe nella scarpiera, o una scritta “SCARPE” che ricorderà immediatamente tutti i discorsi precedentemente fatti, senza farne di nuovi. Può anche essere una scritta ironica: “Le mie scarpe si sentono sole nella scarpiera, dona un’amica anche tu alle mie scarpe!” Gli adolescenti apprezzeranno! 


Una parte importantissima della comunicazione efficace è quello di evitare la negazione, perchè il nostro cervello non registra il “non”. Questo significa che lo stesso concetto che viene espresso con la negazione davanti (non possiamo andare al parco) si può esprimere in positivo (potremo andare al parco un altro giorno). E’ stato detto di no comunque, ma evitando la negazione ad inizio frase.
Un’altra strategia efficace è sedersi a tavolino e discutere come si potrebbe fare in una coppia e raccontare al bambino quali sono i problemi o i bisogni che si hanno e cercare insieme delle soluzioni. Questa modalità farà comprendere ai bambini che noi teniamo in considerazione le loro opinioni, che sono importanti, che fanno parte della soluzione e non soltanto del problema.
Una volta trovate delle soluzioni, si può scegliere insieme quella che soddisfa di più i bisogni di entrambi e provare ad attuarla. Probabilmente funzionerà per un po’ e poi potrebbe essere necessaria una revisione, ma avremo insegnato al bambino una lezione più grande: io valgo tanto quanto te e in questa relazione siamo in due. E’ importante ascoltarsi, esprimere i propri bisogni e trovare insieme delle soluzioni soddisfacenti per entrambi, che potranno essere ri-discusse altre innumerevoli volte, senza per questo uscire dalla relazione.



Partendo dal presupposto che bisogna sapere quali sono le regole per noi imprescindibili e che contengono dei valori intrinsechi legati alla nostra storia personale, è importante che il bambino possa avvicinarsi ad esse e rispettarle attraverso la comprensione di tali norme stabilite e non soltanto per timore di una reazione, perché solo così potrà farle sue legandole ad un aspetto morale che lo formerà come persona e potrà portare in altri ambiti della sua vita.
Perché è importante sapere quali sono le regole imprescindibili?
Perché non possiamo pensare che un bambino/ragazzo possa rispettare un numero di restrizioni infinito e a discrezione giornaliera in base all’umore dell’adulto. Devono essere definite e chiare, al fine di permettere al bambino di comprenderle, farle sue e rispettarle perché sa che sono “giuste”. Il concetto di giusto e sbagliato può essere in parte universale per i massimi sistemi (non si uccide nessuno), ma sono assolutamente personali e legate alle proprie esperienze di vita per quanto riguarda ambiti quotidiani personali.

Dietro a quello che definiamo “non ascolto” di un bambino/ragazzo, c’è un mondo da esplorare che esula dalla sola visione che sia una sua volontà senza possibilità di appello. Come sempre è necessario che gli adulti intorno si interroghino sui loro comportamenti/ atteggiamenti e portino attenzione a quello che mostrano perché sarà l’esempio o l’effetto domino che produrranno sui loro bambini/alunni.
L’essere umano è stato progettato per entrare in relazione con l’altro, per questo nessuno nasce con la caratteristica genetica del “non ascolto”. Fa parte di una costruzione ambientale, di cui spesso l’adulto non è consapevole. Siamo portati a guardare fuori e ad indicare il problema, per questo alle volte non ci rendiamo conto di aver contribuito alla sua generazione. E’ necessario porsi in ascolto e in osservazione, valutare le variabili e formulare delle ipotesi che comprendano anche noi nell’equazione per poterla risolvere.

Concludo con una frase che credo racchiuda il punto cruciale di tutte queste riflessioni:
Ascoltare se stessi nel profondo, guardandosi con occhi gentili è il primo passo per comprendere cosa ci abita: solo quando impariamo a sentire davvero la nostra voce interiore, ad esprimere i nostri bisogni in modo efficace, possiamo ascoltare con cuore aperto anche gli altri, offrendo loro la stessa attenzione e comprensione che regaliamo a noi stessi.

Manuela Griso

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