IL BAMBINO OBBEDIENTE

Anche voi da bambini vi siete sentiti dire ” oh, è una bambina così brava e obbediente” oppure “Non obbedisce mai”?

Facciamo insieme una riflessione sul perchè sarebbe meglio non desiderare un bambino obbediente ; partiamo dal definire cosa significa per un adulto avere di fronte a sè un bambino obbediente. Generalmente si tratta di bambini composti, che fanno tutto ciò che il genitore chiede e che non danno troppo fastidio, cioè non creano troppo disagio nelle abitudini e nello stato emotivo dell’adulto di turno. La richiesta di obbedienza è una richiesta “adultocentrica” basata sulla legge del più forte e su un concetto di dominazione e autorità imposta. Un bambino educato non è sinonimo di bambino obbediente. Anche se spesso le due cose vengono confuse tra loro. Tutti i bambini sono educati, imarano ciò che vedono, che sentono e che si sentono dire.

Generalmente il bambino obbediente è tale per tre motivi principali : paura (se non sarò obbediente mi puniranno) , gratificazione esterna ( se sarò obbediente mi premieranno) o un buco d’amore ( se sarò obbediente mi vorranno bene/mi diranno bravo). A lungo termine questi non sono pilastri sufficientemente forti per la costruzione di una relazione sana adulto-bambino, e, più avanti, per la relazione con l’autorità.

Manca una base di fiducia reciproca nella quale viene contemplato il diritto di sbagliare, di riparare ma anche di comprendere le emozioni , aprire uno spazio di dialogo in questo senso a doppio canale dove la realtà e la relazione stessa non viene calata dall’alto ma costruita insieme , sullo stesso piano come esseri umani.

Dai princìpi appena elencati nasce anche il rispetto. Se rispettiamo il bambino nel suo bisogno primario di scoprire il mondo e se stesso , il bambino rispetterà noi come naturale conseguenza, non per un ruolo, non per paura o per mancanza d’amore ma come essere umano che, essendo rispettato, rispetta.

Spesso sento dire adulti dichiarare ” Portami rispetto!” , “Non mi rispetti”, ma cosa vuol dire esattamente ? E’ un concetto astratto molto complesso impossibile da comunicare a parole se non vissuto prima nell’esperienza diretta. Un bambino che non ti rispetta probabilmente non è stato rispettato, in primis nel suo diritto all’errore come maestro di vita e poi nella sua capacità critica, nella comprensione della fase evolutiva che stà vivendo o, più sottilmente, nel suo diritto di muoversi in confini chiari, sicuri, definiti e adattabili alla sua crescita.

L’ obbedienza cieca allontana il pensiero critico. Quindi la domanda da farsi è : voglio che mio figlio diventi un adulto che esegue come un soldato leggi e ordini o voglio che si chieda interiormente se li condivide oppure no ? Il messaggio intrinseco che mandiamo con la richiesta di obbedienza è che il giudizio dell’ adulto (ed in futuro dell’ autorità) valga più del suo e in futuro non saprà sentire, comprendere, far suo, il senso di giusto e sbagliato ed il perchè lo sono.

Il messaggio che mandiamo è che lui non vale, o vale in base alla sua capacità di obbedienza verso gli adulti.

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Sarà anche abituato ad essere definito in una qualche maniera, a ricoprire il ruolo che gli viene dato , “un bambino obbediente”, “un bambino disobbediente”. Disobbedire in alcuni contesti viene ritenuto persino un pregio “fa sempre quello che vuole”, “è un ribelle” ; eppure anche la disobbedienza fa parte dello stesso gioco : quello di accondiscendere o andare contro un autorità, qualcuno che ha potere, che stà sopra di noi. Nessuna delle due condizioni riesce a far accedere ad una dimensione di dialogo, rispetto reciproco e ricerca della soluzione comune. Nessuna delle due condizioni insegna l’empatia, lo spazio condiviso (fisico ed emotivo) e la ricerca di ciò che è giusto. Si tratta sempre di un gioco di potere. Una giostra da cui sarebbe meglio scendere tutti se vogliamo vedere fiorire un mondo diverso, migliore.

Recentemente ero accanto ad un bambino di tre anni che faticava a gestire il suo stato emotivo (come è normale che sia a quella età, noi siamo per loro la guida in questi casi affinchè possano conoscere e gestire efficacemente le emozioni di qualunque genere) e mentre gli dicevo “aspetto qui che ti calmi un po così poi potremo parlare” lui rispondeva “io tanto non ascolto mai, non ascolto mai nessuno e non mi calmo mai”. Questo bambino probabilmente si sarà sentito dire spesso queste parole dagli adulti, quindi le ha prese e le ha fatte sue. Quello che gli adulti gli dicono di essere lui è, in questo lui crede. Quindi se diciamo ad un bambino che disobbedisce sempre, non solo ci stiamo ponendo nella posizione dell’autorità che ha impartito un odine (e che non è stato eseguito), o di coloro che sono orgogliosi del suo disobbedire, gli stiamo anche comunicando che questo è quello che lui è, e lui tenderà ad esserlo sempre di più perchè non ha strumenti ancora per potersi costruire un alternativa.

Ad un certo punto, io credo, l’adulto deve scegliere se essere un ‘capo’, un ‘compandante’, un ‘ribelle’ o una guida , un punto di riferimento. Io credo che quanti più bambini potranno uscire dalla ‘stato’ di obbedienza /disobbedienza, tanti più adulti in futuro saranno in grando di applicare il pensiero critico, di rispettare le divergenze , di trovare soluzioni comuni invece che fare le guerre di potere e riconoscere che l’unico potere che abbiamo è quello di scegliere, e per scegliere il bene dobbiamo prima aver avuto l’occasione di poterlo riconoscere e sentire.

L’ ABITUDINE AL LAMENTO ; riconoscerla per superarla (o evitarla).

Sono oramai noti gli studi scientifici che dimostrano come le lamentele possano incidere in modo negativo sull’attività neuronale. La lamentela viene processata dalla stessa parte del cervello deputata al problem solving : chi espone la lamentela (inclusi noi stessi )emette onde magnetiche sui neuroni dell’ippocampo rendendo inattivo il processo creativo di risoluzione dei problemi.

La lamentela come abitudine protratta nel tempo riduce, dunque, la capacità creativa di trovare soluzioni alle situazioni più disparate della nostra vita.

Il nostro cervello si nutre, come ogni parte del nostro corpo ; nutrendolo con lamenti (propri o di altri) perderemo gradualmente quella capacità di pensiero che porta ad avere la fiducia necessaria a riconoscere che è sempre possibile una soluzione. Non lo chiamerei “ottimismo” e nemmeno “pensiero positivo”, preferisco definirlo “pensiero cosciente”.

Se abbiamo vicino una persona con questa abitudine , spesso in sua presenza potremmo sentirci spossati, privati di energia e spenti. Per quanto bene vogliamo a questa persona tenderemo ad evitarla, ogni nostra parola di conforto sembra non avere presa e ci sentiremo probabilmente anche sfiduciati nei suoi confronti, confermando l’idea che ha già da se, cioè “non c’è rimendio”. Queste persone tendono a non voler ricercare soluzioni ,ponendo ogni proposta di fronte ad una serie di insormontabili difficoltà. Lo fanno, ovviamente, in modo inconsapevole e portate , appunto, da un abitudine. In alcuni casi la miglior soluzione è il distacco, creare la giusta distanza entro la quale non ci sentiamo depradati o inquinati da questa modalità.

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Se siamo noi a passare la maggior parte del nostro tempo a lamentarci la prima cosa da fare è accorgersi, prendere consapevolezza di questa abitudine portando attenzione ai nostri racconti, a cosa condividiamo con i nostri cari e amici, e sopra ogni cosa, portando attenzione alla qualità dei nostri pensieri.

Di grande aiuto possono essere anche le sensazioni fisiche : se dopo una condivisione ci sentiamo come svuotati, scarichi e stanchi, come aver vuotato il secchio dell’immondizia ; se abbiamo l’idea che ciò che stiamo vivendo rimarrà così per sempre, se vorremmo che ciò che ci circonda fosse diverso da ciò che è , se ci sentiamo vittime (di qualcuno o della vita, passata o presente)…

La chiave del cambiamento è la Presenza attiva e partecipativa alla nostra vita, inclusi i nostri pensieri, senza questa presenza attiva sarà probabilmente molto difficile anche solo, appunto, accorgersi e dunque attivare tutto ciò che è necessario per cambiare.

Si può invertire l’abitudine al lamento? Certo che si, come per qualunque ‘cattiva’ abitudine servono costanza, tempo ed esercizio.

L’inversione di marcia del lamento è la GRATITUDINE. Un pensiero volto alla gratitudine trova la fiducia nella vita necessaria a radicare in sè la convinzione che c’è una soluzione per tutto.

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Ecco alcuni esercizi utili :

  • Ogni sera , prima di andare a dormire, scrivere almeno 3 cose per cui si è grati della giornata appena trascorsa ; anni fa, quando ero nel pieno della mia ristrutturazione del pensiero, scrissi i 100 giorni di gratitudine, fu un esercizio fondamentale per correggere anni di abitudine al lamento.

  • Condividere con gli amici o i familiari ciò che di positivo ti ha portato la giornata o un’esperienza . Siamo abituati a trasmettere ciò che non ha funzionato, un po’ perche siamo convinti possa scatenare una maggior empatia, un po’ perche a volte non abbiamo altri argomenti . Prova ad ascoltare una normalissima conversazione al supermercato, o in fila alla posta o in qualunque contesto sociale: spesso il focus è su ciò che vorremmo diverso, sui problemi, sulle mancanze. Paradossalmente c’è più compagnia nell’infelicità, condividere l’infelicità ,per qualunque ragione, ti fa sentire parte di un gruppo. Quando inverti la rotta ti accorgi che puoi parlare di molto altro, dei sogni, delle aspirazioni, di ciò per cui sei grato, del bello che ti circonda o del bello che riconosci nell’altro, anche se si tratta di sconosciuti!

  • Esercitarsi a vedere il bello in ogni cosa. Persino nel momento più buio possiamo apprendere qualcosa di nuovo, o vedere una nuova prospettiva, nulla nella vita accade per caso, la vita accade per essa stessa , senza alcuna connotazione positiva o negativa, siamo noi ad attribuire un significato alle esperienze , siamo noi, dunque a poter scegliere su cosa soffermarci, cosa trattenere e cosa lasciar andare.

Accogliere la vita per come è non è accettazione cieca e passiva, è anzi, il primo passo per il cambiamento. Non è sbagliato voler migliorare la propria vita, ciò che ci avvelena è la pretesa di volerlo fare dalla negazione di ciò che c’è in questo momento.

Il pensiero è energia in una direzione, le parole creano il mondo.


COLTIVARE I SENTIMENTI (per essere liberi)

Molto si trova, al giorno d’oggi, nella psicologia, nell’educazione, nelle neuroscienze, nella filosofia e in molte altre discipline, sul tema delle emozioni, come riconoscerle, come ‘chiamarle’, varie strategie per gestirle.

Le emozioni sono uno strumento importante per orientare la psiche nel mondo, rispondendo in modo automatico, efficace (e a volte efficiente) agli stimoli esterni.

Sono un “fatto” terreno, meraviglioso e… passeggero (secondo la neurologia moderna infatti la durata media di un emozione nel nostro cervello dura circa 90 secondi)

Ci sono persone e situazioni che emozionano, l’ innamoramento è il frutto di una serie di emozioni, così come il terrore.

Si diventa dipendenti persino da quelle reazioni chimiche che le emozioni scatenano ( endorfine, dopamina, serotonina, adrenalina, ossitocina…) quindi siamo alla ricerca di quegli stimoli in grado di risvegliarle, tra questi, il dolore ma anche l’ eccitazione.

Gli eccessi ,a volte, in una polarità o nell’ altra.

Il sentimento è anima, include e trascende l’ emozione.

Lo Stato di innamoramento che perdura nel tempo, che non passa quindi con la routine, con le abitudini o l’ assuefazione, è un sentimento.

La gioia come sentimento è diversa dall’ eccitamento gioioso, è quiete estatica dove tutte le sensazioni sono esaltate.

La calma è un sentimento, ma anche il rancore.

L’ amore nella sua espressione più alta, che sia nella coppia o in altre manifestazioni, è quindi molto più che un insieme di emozioni.

L’ amore come sentimento è in grado di affrontare l’ impermanenza dell’ emozione e rendere duraturo quello stato di grazia dell’ innamoramento.

Non è scontato nè banale. È impegno, attenzione a se stessi, all’ altro, al mondo circostante.

È vigilanza.

Per il sentimento è necessario molto impegno (e autoconoscenza).

L’ emozione è più immediata, facile, solo che che ad un certo punto…esaurisce.

Abbiamo visto che di per sè le emozioni sono un “flash” che ci attraversa velocemente , cosa le rende allora così durature invece? come mai ci sentiamo arrabbiati per giorni o entusiasti o impauriti magari anche per anni?

Siamo noi che tratteniamo l’ emozione, vi agganciamo pensieri, ricordi, creiamo abitudini e convinzioni che ci rendono più ricettivi ad alcune emozioni piuttoste che altre…

L’ emozione è merce di consumo, oramai anche le industria del marketing e della pubblicità conoscono quali tasti toccare per ingenerare in noi una determinata emozione e dunque una determinata azione ; la stessa cosa accade nel mondo dell’arte.

Il sentimento ha bisogno di essere alimentato, ed in quest’ epoca dove vige il “tutto e subito” si preferisce spesso il brivido dell’emozione, immediata e fugace.

Io credo ancora che non ci sia cosa più bella del coltivare il sentire, rammendare, recuperare, sanare, portare cura nelle zone dolenti e nutrimento a quelle armoniose ; coltivare il sentimento è fare Anima.

A volte è faticoso farlo in modo consapevole, faticoso come lavorare la terra, una fatica, però, ripagata nel tempo dal frutto.

Il processo di riconoscimento dell’emozione e la sua liberazione , la sua integrazione al sentimento, ci permette un grado di azione libera (autentica) più ampio. Le nostre scelte non sono più, a quel punto, dettate dall’ emotività del momento, ma diventano scelte mature, che seguono un sentimento appunto, un emotività cosciente , l’unione di percezione, emozione, capacità di giudizio e coscienza.

Allora l’invito è, si, nominare e riconoscere le emozioni ma anche educarci ai sentimenti in modo attivo e il più possibile lucido, affinchè le nostre scelte siano scelte dell’ anima e non dell’ impulso.

Quando cuore, corpo, mente e pancia sono allineati, quando siamo presenti e coerenti con le parti di noi , più autentica diventa la nostra azione e presenza nel mondo.

AMBIENTAMENTO, un momento delicato per bambini e adulti.

Molti di noi in questo periodo si trovano, o si troveranno, ad attraversare questa fase: l’ ambientamento è, propriamente nel suo termine ,l’adattamento ad un ambiente diverso dal conosciuto, per il bambino, per il genitore, e anche per l’ educatore che si trova a relazionarsi con persone nuove che hanno differenti modi di interagire.

Questo processo delicato pone le sue fondamenta sulla fiducia reciproca, tra adulti, tra adulto e bambino e nel bambino stesso. E’ un momento che richiede tempo, delicatezza, comprensione, ritualità e calma.

Ecco alcuni suggerimenti utili per un buon ambientamento:

  • Prepara il bambino alla novità, spiegagli dove andrete, cosa farete, inizia a raccontare quello che accadrà in modo che lui o lei possano avere il tempo e lo spazio di manifestare domande, dubbi o paure e voi di accogliere e rispondere.
  • Prepara te stesso al lasciare andare, chiediti se hai fiducia nelle persone che stai per incontrare, nel luogo che stai per conoscere meglio, a volte il distacco può essere più difficoltoso per il genitore che per il bambino. Può essere utile dire a se stessi che il nostro bambino starà bene, sarà trattato con delicatezza e rispetto e non un briciolo di amore verrà meno tra voi, anche se vi state separando per alcune ore. Potresti sentirti in colpa, potresti avere paura, parla delle tue emozioni, di cosa provi con gli educatori, sono pronti ad accoglierti, anche per te è un momento delicato. Create alleanze con loro sulle basi del dialogo e dello scambio sincero.
  • I bambini sono tutti diversi ,quindi lasciate stare confronti, anche solo con i fratelli, ogni bambino reagisce al distacco in modo differente in differenti momenti, che sia un rientro dalle vacanze, che sia un rientro da una malattia o una nuova esperienza, le reazioni possono cambiare in base allo stato emotivo del momento, in base allo stato emotivo del genitore, e molti altri fattori. La soluzione migliore è permettersi di stare , di accogliere quello che è in quel momento. Alcuni bambini si ambientano facilmente, in modo semplice e fluido, per poi essere più richiedenti a casa. Altri piangono disperatamente al momento del distacco per smettere nell’ istante stesso in cui il genitore chiude la porta dietro di se. Altri ancora rielaborano il distacco a distanza di giorni o mesi. Tutto è normale, tutto è possibile. E’ un processo, a volte faticoso, a volte frustrante, a volte più fluido.
  • Saluta SEMPRE il bambino prima di andare, rassicuralo del tuo ritorno, o preparalo per chi verrà a riprenderlo, questo rafforza il vostro legame di fiducia e col tempo vedrà che nessuno lo sta abbandonando. A volte volte potresti pensare che , se vai via di nascosto in un momento in cui lui gioca ed è distratto si possa evitare la difficoltà, ma così non è e anzi, questa modalità può minare il vostro rapporto.
  • Mantieni la posizione. Una volta salutato il bambino sarebbe meglio evitare di tornare, prolugare i saluti con tira e molla, riprendere il processo da capo, si rischia di interrompere quello precedente e creare una lunga agonia oltre a trasmettere al bambino ansia e indecisione. Può essere molto utile inventare un vostro personalissimo rituale di saluto così il bambino sà che da quel momento vi saluterete per rivedervi all’ uscita.
  • Ciò che tu provi lo sente. Per questo più noi rimaniamo calmi e fiduciosi, più sarà semplice per il bambino connettersi a quella calma e fiducia.
  • Durante l’ ambientamento, quando il bambino ti vedrà tornare potrebbe correrti incontro felice, o arrabbiato o piangendo, preparati ad accogliere la sua emotività. Potrebbe ever bisogno di più contatto del solito, potrebbe chiederti di dormire abbracciato, di essere imboccato, e varie forme di cura, anche non più “necessarie”, ma che lo diventano in quel momento. Piano piano prenderete il ritmo, anche la scuola diventerà un suo porto sicuro, vedrà che si torna sempre a casa, acquisirà fiducia e ritroverete le abitudini di sempre.
  • Per le educatrici e gli educatori, vale tutto il precedente, lascia andare l’aspettativa e l’ansia del dover fare e dover sembrare. Una volta superato il momento del distacco il bambino dovrà prendere le misure, studiare gli ambienti, le persone intorno a lui. Non è necessario rendersi simpatici, o accelerare stimoli già in soprabbondanza, perchè si fidi di te. Prova a sederti e osservare, in attesa di un segnale che il bambino stesso ti darà, vedrai che sarà lui a indicarti il modo, il momento giusto, diverso per ognuno, in cui vuole che lo si avvicini. Capirai tempi e momenti. Costruire un rapporto di fiducia da zero richiede tempo, calma e accoglienza.

Come avrai notato Accoglienza è una parola che si ripete spesso nella durata di questo processo. Accogliere le tue emozioni, quelle del tue bambino, accogliere tempi e modalità…accoglienza e fiducia sono gli strumenti essenziali per questa fase (e molte altre).

Per curiosità e approfondimenti potete scriverci alla mail apiccolipassisicresce@gmail.com

Buon ambientamento !

L’ IMPORTANZA DI RACCONTARE

Nell’antichità ci si trovava in cerchio, intorno ad un fuoco e si raccontava. Si raccontavano miti e leggende, storie e aggiornamenti. Era un modo per tramandare, per passare insegnamenti e moniti, per arricchirsi di conoscenza e saperi. La parola, parlata e ascoltata, aveva (e ha) un impatto emotivo forte : raccontare richiede presenza , sia da parte dell’oratore che dell’ ascoltatore, richiede partecipazione attiva, coinvolgimento, cuore.

Per un bambino , ascoltare una storia significa poter aprire le porte allo spazio della fantasia e dell’ immaginazione , significa potersi domandare rispetto ai grandi “perchè” della vita, trovare soluzioni dentro di sè, sollevare curiosità. Un racconto dona la possibilità introdurre temi altrimenti difficili, di accedere al dialogo, alla relazione vera e propria attraverso voce, sguardo, emozioni, condivisione.

Al giorno d’oggi l’ eccesso di stimoli e l’accesso alle illimitate possibilità comunicative rende, a volte, persino difficile trovare il tempo e ristabilire l’importanza di questa pratica che viene , per lo più, delegata a enti esterni (scuola, biblioteche, librerie…) o confusa col guardare una storia su grande (o piccolo) schermo.

Un cartone animato o un videogioco raccontano si storie ma senza l’ ingrediente principale : la relazione.

Un bambino (o un ragazzo) che guarda una storia riceve in modo passivo delle informazioni, “premasticate”; per quanto buon contenuto possa avere un cartone animato si tratta sempre di un atto educativo passivo, un processo iniziato e concluso, finito.

Nell’ ascoltare un racconto invece il bambino si trova a dover costruire dentro di se le immagini , è stimolato a crearsi uno scenario interiore, ipotizzare soluzioni, prevedere finali differenti, aggiungere o togliere particolari, è attivo, c’è uno scambio che allena alla relazione, all’ ascolto, all’essere co-creatori. L’ educazione passa proprio dallo scambio.

I racconti possono essere letti ma anche inventati insieme, partendo da elementi delle vita quotidiana, dalla ricerca del bambino stesso rispetto ai “perchè”.

“Perchè piove?”, “Perchè il bruco si chiude dentro un sacco?”, “perchè il mare è salato?”, “Perchè il cane è morto?”, “Perchè la nonna non può venire giù dal cielo?”, “Perchè l’erba è verde e non blu?”…

Questo non significa dare risposte fasulle , tutt’altro. Si possono correlare storie fantastiche alla naturale ricerca scientifica del bambino, si possono usare entrambi i canali seguendo l’interesse del bambino stesso e accanto alla razionalità attivare il gioco del pensiero fantastico.

La fantasia non è un lupo cattivo del quale si debba aver paura.” (Gianni Rodari)

Cito Gianni Rodari che nel suo libro “Grammatica della Fantasia” esprime al meglio quanto fondamentale sia affiancare al raziocinio la fantasia.

Se un bambino scrive nel suo quaderno «l’ago di Garda», ho la scelta tra correggere l’errore con un segnaccio rosso o blu, o seguirne l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo «ago» importantissimo, segnato anche nella carta d’Italia. La Luna si specchierà sulla punta o nella cruna? Si pungerà il naso?

E concludo con queste parole a mio avviso illuminanti, sempre di Rodari :

Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione.

Dunque lo sforzo immaginativo non è un processo marginale nello sviluppo di un essere umano che, si spera, possa contribuire crescendo alla costruzione di una comunità sempre più vicina all’armonia e alla condivisione pacifica. Serve, l’immaginazione, ad alimentare l’atto creativo, la capacità di creare nuove strade, di trovare soluzioni, di essere parte attiva della comunità stessa.

Trovare il tempo di raccontare, o leggere insieme un racconto, significa fare dono di sè, aprire mondi, creare legami e stimolare il pensiero autonomo.

ESSERE DISPONIBILE : co-creare una coppia felice

L’ uomo o la donna perfetti o “ideali” non esistono.

Le coppie perfette o “ideali”, illuminate newage, che non discutono mai e non hanno mai divergenze di opinione non esistono, se non dopo una lunga sequela dei suddetti, la saggezza, la volontà imperterrita e la capacità del tempo di smussare le spine e godere delle rose. Quell’ illuminazione lì è il dono di mostri e battaglie che sono diventati alleati e risorse, frutto di grande lavoro e sicuramente molto amore.

L’ ideale serve, semmai, fuori dal mondo delle favole e nella realtà tangibile, come “linea guida” per calare lo spirito nella materia.

Appurato che il principe e la principessa azzurri non esistono, e che amare vuol dire accogliere ciò che è , questo non significa restare immobili nascondendosi nel “sono fatto/a cosi”. Altrimenti non ci sarebbe incontro alcuno.

La nostra Personalità è in continuo movimento e se posso rendere migliore la vita mia e del partner perche non farlo? In un ottica di comunione la felicità di uno è la felicità dell’ altro e in un “palleggio” di gioie reciproche si vince la partita.

Esprimere ciò che ti piacerebbe vivere o ricevere non significa ” ti voglio diverso”, significa anzi rendersi nudi di fronte all’ altro/a e agevolarlo/a nella relazione.

Risparmio di energia notevole, come avere in mano una ricetta, gli ingredienti sul tavolo e dover solo cucinare la torta.

Ovvio che, prima, bisognerebbe aver chiaro cosa vuoi, la direzione verso cui ti piacerebbe “andare” e saperlo comunicare. Non semplice ma possibile.

Quando la richiesta non nuoce nessuno, rendersi disponibili alla risposta è come scoprire un altro mondo, sconosciuto perche è dell’ altro e arricchirsi di nuova esperienza.

Non rendersi disponibili significa non voler entrare in quel mondo. Quindi non essere parte del mondo dell’ altro.

Esempio che vivo nel quotidiano:

se io faccio addormentare un bambino con una canzone perche a me piace cantare ma quel bambino mi dice o mi fa capire che per lui è più facile se gli faccio una carezza in silenzio ,non posso dirgli : ” eh ma io sono fatta così, canto canzoni”, pensando di farla franca…neanche fossi Tosca otterrei un buon risultato perche quello è un bambino da carezze e non da canzoni.

Lui è deluso ed io devo fare il doppio della fatica offrendogli qualcosa che non gli serve e che mette anche lui nella difficoltà di “farsela andar bene”.

Insomma nessuno è contento , entrambi viviamo la frustrazione, eppure la soluzione era pronta.

Quello che posso chiedermi come adulto ed anche nella relazione tra adulti è

” sono disponibile alla sua richiesta?”

– Si, la relazione si fortifica, l’ altro si sente capito, si instaura fiducia reciproca, tutto si alleggerisce e diventa una bella esperienza per entrambi essere insieme.

– No, allora o mi adatto alla fatica vivendo spesso quella relazione con tensione, o faccio in modo che a rispondere a quella richiesta sia qualcun altro più disponibile . E questa sarebbe una scelta più amorevole e onesta per entrambi, piuttosto che dirgli “sono fatta/o cosi”.

La verità è che “non sono disponibile”.

La DISPONIBILITA’ all’ altro è la chiave delle relazioni ; capire se si è disponibile ad altro oltre al conosciuto ed in quale misura è una grande presa di coscienza.

L’ essere in comUnione è poter accedere al mondo dell’ altro, e viceversa , è scambio, equilibrio dare-ricevere.

Quando uno solo dà e uno solo riceve la relazione non è paritaria, è una relazione a cascata che si muove in una sola direzione. Se parliamo di relazione di coppia lo squilibrio della comunione logora entrambi.

E siccome non siamo alberi da frutto che sfoggiano una sola qualità di fiore, ma universi poliedrici che possono decidere cosa essere, la frase ” non puoi chiedere banane ad un melo”, oppure “chi nasce tondo non muore quadrato” vale fino ad un certo punto. Vale solo, cioè, se tu hai proprio deciso di essere un melo e di morire come sei nato.

Tutto il resto è pura CREAZIONE o CoCREAZIONE.

Il grado di disponibilità racconta il grado di complicità nella “squadra”.

Una buona complicità è fatta di movimenti reciproci verso un risultato comune.

La gioia di entrambi è la vittoria e “squadra che vince non si cambia”.

Maria Rosa Iacco, mery.iacco@gmail.com

Consulente per la promozione e lo sviluppo della consapevolezza, educazione all’ espressione del potenziale unico e inimitabile per una vita piena e realizzata.

L’ AMORE NON E’ MERITOCRATICO

“Se fossi un pò più….”

“Se fossi un pò meno….”

“Mi amerebbe di più se…”

Quante volte il nostro dialogo interiore si è soffermato su questa modalità?

Quante parti di noi abbiamo soffocato o storpiato con l’intento di essere amate ?

Quante volte abbiamo recitato una parte, imitato altri considerandoli migliori?

Migliorarsi è un intento buono di per sé, quando significa aumentare il nostro stato di Ben-Essere, ed è vero che spesso grazie alla relazione con gli altri riusciamo a vedere parti di noi altrimenti irraggiungibili.

Questo però non significa snaturarsi o peggio, sacrificarsi, come strategia per ricevere amore.

L’amore non è mai questione di merito.

Nè tanto meno di strategia.

Sei amata, sei amato così come sei.

L’essere più o meno funzionali all’interno di una relazione non ha a che vedere col merito. L’amore esiste a prescindere. Ciò che dimentichiamo è l’importanza di sentire amore dentro di sé, per se stessi e poi anche per l’altro, esplorarsi e cambiare o curare ciò che ci allontana dall’amore perché sentiamo che è qualcosa che fa bene a noi per primi e questo porta ,si, benefici nella relazione.

Il confronto con gli altri poi, dinamica che viene comoda all’industria della performance, è lontanissimo dalla ricerca del benessere.

Semmai possiamo fare confronti con noi stessi, nel tempo che abbiamo vissuto, per vedere dove siamo, per orientarci.

Ma ciò che conta davvero è Sentirsi, Sentire.

Se qualcuno ti mette a confronto o paragone con altri, con storie passate, o con un ideale che ha in mente, se qualcuno indica te come bussola per il suo benessere o malessere (e tu gli credi) o se sei tu che lo fai con l’altro…stai andando fuori strada. Ti stai perdendo.

Tu sei l’artefice, tu sei creatrice, creatore.

Non puoi modellarti come creta su ciò che è desiderabile per qualcun altro senza ,ad un certo punto, romperti in mille pezzi. Non puoi modellare l’ altro come lo vorresti senza ad un certo punto vedere cadere l’ intero castello di carta al primo soffio di vento.

Puoi ,invece, s-coprirti, puoi svestirti dai panni accumulati negli anni, dai ruoli interpretati, puoi scrostare lo sporco delle ferite e aprire finestre dove vi sono muri protettivi.

La paura tiene sotto coperta l’amore.

La paura di non essere abbastanza.

La paura di non essere adeguati.

La paura di essere abbandonati e lasciati soli.

E per quante anime meravigliose si possano incontrare sulla nostra strada, nessuna ci salva da queste crepe interiori se non siamo noi per primi a lanciare la corda e iniziare ad arrampicarci verso l’uscita.

Chi dovrà andarsene se ne andrà comunque, perché cerca altro, perché egli stesso è perso nel suo dolore e nella sua confusione, o perché è esaurito il tempo condiviso insieme, la funzione di quella relazione si è conclusa.

Chi vorrà restare resterà comunque , che tu abbia la pancia , la cellulite, le rughe , un carattere difficile o i debiti da pagare.

Non è il merito che determina la qualità dell’amore o delle relazioni. È il rapporto che hai con te stessa, con te stesso, con il tuo passato, con i tuoi antenati, con il dialogo interiore e con la direzione che vuoi dare alla tua vita che lascia o meno accesso all’ amore.

Scopri allora come ,prendendoci cura del dialogo interiore , prestando ascolto a quella voce silenziosa che spesso graffia e indica punti di erosione, possiamo influenzare anche il nostro modo di vedere le cose, di sentrCi e comportarci.

Maria Rosa Iacco

mery.iacco@gmail.com

A LEZIONE DALLA LUMACA

Rivendicate la lentezza nel nostro mondo a tutto vapore, è un diritto delizioso di cui siamo stati privati. (Jean-Pierre Siméon)

In questa epoca digitale l’ imperativo categorico è : “tutto e subito”. Siamo diventati veloci : scrivere ed inviare una lettera, un messaggio, spostarci da una parte all’ altra della città, ordinare da mangiare e molto altro. Più sei veloce e più produci. Anche se diventa sempre più chiaro che il prezzo da pagare può rivelarsi alto in termini di qualità della vita.

I bambini vivono tra i due mondi : quello degli adulti sempre di corsa (e che spesso, troppo spesso non hanno tempo di giocare) e la loro natura lenta.

Il bambino ha tempi suoi, spesso molto diversi da quelli dei ‘grandi’, tempi che noi definiamo lenti ma che in realtà sarebbe meglio chiamare “tempi di processo”. La lentezza del bambino è essenziale per permettergli di accordare tutte quelle funzioni neurologiche, motorie, emotive e relazionali diventate ormai meccanismi automatici per l’ adulto, e che il bambino invece stà progressivamente creando dentro di sè.

Il livello di presenza nel qui e ora di un bambino impegnato in un attività è tale da poter escludere totalmente il mondo circostante, grazie alla ripetizione dell’attività si genera un automatismo col quale cambia anche il ritmo.Per questo si possono osservare bambini intenti allo stesso lavoro per ore o giorni in modalità quasi ipnotica.

L’ automatismo però non è solo limitato al ‘fare’ ma entra a gamba tesa anche nel mondo della relazione e dell’ essere : atteggiamenti, azioni e reazioni , modi di dire, gestualità, modalità di socializzare , perfino il modo di pensare perchè la nostra mente ha bisogno di ottimizzare il più possibile l’ energia dispersa nel processo.

I bambini, non avendo ancora totalmente automatizzato la loro maschera sociale ci stupiscono con effetti speciali, con la loro originalità, i loro filtri assenti e la loro capacità meditativa, e con altrettanta purezza rivelano l’ ambiente in cui sono immersi e del quale assorbono i processi.

Se vogliamo entrare davvero in comunione con un bambino, può essere molto utile imparare dalla lumaca : “la lentezza è la vera ricchezza.”

Pensiamo al tempo di cui abbiamo avuto bisogno già anche solo per poter essere parte del mondo oggi! Il tempo in cui la nostra mamma ci ha portati in grambo, il tempo necessario ad un albero di ricoprirsi di foglie e fiori dopo un lungo inverno, il tempo di cui abbiamo avuto bisogno per imparare a guidare o praticare uno sport, ed applichiamo tutto questo al tempo di cui il bambino ha bisogno per coordinare i processi neurologici con quelli motori con quelli della relazione uniti alle regole della societò in cui vive…Il tempo è davvero il più prezioso dei Valori e il più fedele degli alleati.

La lentezza aiuta la concentrazione ; un bambino che si stà vestendo da solo al mattino mentre la mamma o il papà bollono perchè rischiano di arrivare tardi a lavoro stà compiendo uno degli sforzi più grandi che si possano descrivere che avrà ripercussioni non solo sulla sua autonomia e autostima ma anche nella costruzione dei processi mentali che lo accompagneranno durante tutta la sua crescita. Poter dedicare del tempo ad un attività così complessa (per citarne una tra tante) sarebbe quindi un beneficio per tutti a lungo termine.

L’acqua che cade lentamente scava una roccia meglio di una cascata. (Proverbio latino)

Un simile meccanismo riguardante il tempo e la ‘produttività’ lo troviamo molto spesso anche nella scuola. Le classi numerose e un programma da seguire non consentono ad ogni bambino di rispettare la propria velocità, il proprio ritmo di apprendimento. Anzi vengono forniti parametri entro e fuori dai quali i bambini sono definiti “avanti o indietro”, il fattore del ritmo individuale di apprendimento difficilmente viene preso in considerazione, spesso per motivi pratici e organizzativi. Così ancora una volta il bambino sarà costretto ad adattarsi al mondo dei ‘ grandi’.

Se osserviamo un bambino lasciato libero di assolvere ad un compito, senza limiti di tempo, ci sembrerà di vedere davvero un maestro in meditazione. Esistono pratiche molto antiche, come ad esempio il Tai chi, il Qi Gong, Tandava o lo Yoga, che favoriscono il benessere psicofisico facendo del loro punto di forza proprio la lentezza; il procedere lento del corpo armonizza il respiro , placa la mente e reindirizza i pensieri. I processi mentali frettolosi saltano passaggi fondamentali che il corpo invece registra ; facendo il percorso inverso, quindi partendo dal corpo per arrivare alla mente, la quiete donata dalla lentezza favorisce anche la lucidità di pensiero, la capacità di prendere decisioni, l’ ascolto di sè e dell’ altro.

Invito a provare per credere proponendo una pratica che può fare chiunque appena possibile al primo pasto utile: prova a spostare telefonini o altri dispositivi (o distrazioni) in luoghi diversi dalla tavola, apparecchia con cura il tuo piatto, siediti e dedicati totalmente a quello che stai facendo, alla mano che impugna la forchetta, alla forchetta che raccoglie il cibo, alla bocca che soffia se è caldo, ai polmoni che prendono aria, al cibo che entra nella bocca, al gusto che cambia, alla mandibola, ai denti alla lingua coinvolti nella masticazione, alla gola che ingoia , alla pancia che si riempie. Nella lentezza è possibile sperimentare un modo diverso di mangiare. Ora prova a farlo immaginando di essere un bambino che pratica questo per le prime volte.

Se l’ esercizio ti è piaciuto invito a sperimentarlo in altri campi della vita pratica o dello studio.

Prendersi tempo è un regalo prezioso. Se la lentezza porta beneficio ad un adulto gia ‘finito’ (anche se non lo siamo mai) immaginiamo quanto possa sostenere un bambino che muove i primi passi nel mondo.

Comunità e identità : il bambino diventa i modelli che vede.

Questo è il nostro obbligo nei confronti del bambino: dargli un raggio di luce, e seguire il nostro cammino.”

Maria Montessori esprime in questo modo, sintetico e chiaro, ciò che accade durante il processo di costruzione dell’ identità e del ruolo chiave della comunità adulta intorno al bambino.

Sottolineando l’ importanza dell’ ambiente fisico, emotivo e relazionale in cui il bambino è immerso, vediamo nel quotidiano come i bambini sembrino “caricature” degli adulti che li circondano. Ne imitano gesti, parole e frasi, spesso senza ancora conoscerne contesto e significato, non solo durante il gioco simbolico ma anche e soprattutto nel loro modo di essere nel mondo (e di relazionarsi con esso).

Come per tutti i nuovi nati, per orientarsi nello spazio e nella società i piccoli seguono i grandi, soprattutto (e prima di tutto) ciò che i grandi fanno, al di là delle posizioni etiche e morali di giusto e sbagliato (concetti anche questi presi dall’ ambiente adulto).

“Ciò che siamo insegna ai bambini molto più di ciò che diciamo, ecco perché bisognerebbe essere ciò che vogliamo che i nostri bambini diventino.” J. Pearce

Nel corso del tempo stiamo assistendo a numerosi cambiamenti degli assetti sociali. Fino a oltre la metà del 900 i bambini nati da un nucleo famigliare erano i bambini di tutti, venivano cresciuti dagli adulti della comunità, che essi fossero imparentati oppure no, l’ educazione e l’esempio passavano oltre che dai genitori, anche da nonni, zii, cugini, vicini di casa, passavano dal quartiere, dalle botteghe, dagli anziani, dai bambini più grandi e, non ultimo, dalla scuola, l’ influenza dei media era ancora marginale e sicuramente meno persuasiva rispetto alla vita reale.

Ad oggi le famiglie stanno diventando nuclei piuttosto isolati, fatto salvo per i fortunati che possono vivere i benefici del grandissimo aiuto dei nonni, la maggior parte del carico educativo lo sostengono i genitori, la scuola e , per chi lo pratica, lo sport.

Mamme e papà si ritrovano spesso soli sotto vari fronti :economico, sociale, relazionale o puramente gestionale. Si sentono sempre più spesso frasi come “non è mica figlio mio” oppure “belli i bambini purchè se li tengano i genitori” , “sono io il genitore e solo io sò quello che è giusto per mio figlio” , “cosa penseranno di me se lascio mio figlio a ….” , “non posso chiedere aiuto perchè altrimenti penseranno che non sono capace di gestire mio figlio” ecc.

Questa solitudine a volte è subita e altre è ricercata, come a voler proteggere il figlio da un mondo esterno che, presto o tardi incontrerà comunque e col quale dovrà avere a che fare ,con a disposizione più strumenti possibili per vivere una vita piena ed esprimere tutta la sua meraviglia (oltre alla pura sopravvivenza).

Anche rispetto alle figure educative “esterne” si è creata sempre più distanza, spesso vengono intraprese vere e proprie battaglie egoiche tra educatori e genitori, tra scienza e coscienza, che vogliono dimostrare di “saperne di più” ,uno rispetto all’altro, dimentichi purtroppo della loro alleanza e dimenticando di essere persone prima ancora che ruoli, persone che dovrebbero guardare ad un punto comune che è il benessere del bambino.

Questa cerchia sempre più chiusa crea un limitato numero di Modelli a disposizione del bambino e la spinta del giovane alla ricerca di integrazione attraverso mezzi alternativi (guardiamo quanta capacità di persuasione hanno gli influencer o i social media in generale). I giovani si ritrovano sempre più isolati e insicuri, spesso passivi. Dall’ altra parte gli stimoli che arrivano dal virtuale rischiano di diventare talmente tanti da non essere più in grado di scegliere cosa sia costruttivo e cosa no.

Senza la volontà attiva di esprimere se stessi, di portare il loro valore aggiunto nel mondo, i bambini rischiano di diventare passivamente quello che l’ ambiente intorno chiede loro di essere. Senza qualcuno che li ispiri, che li aiuti ad alimentare il loro fuoco, il desiderio, la curiosità, rischiano di prendere il male minore, la direzione dei ‘molti’, qualunque essa sia, oppure diventare la copia sputata dei loro genitori, doti e qualità ma anche drammi e sofferenze.

Non sono solo i bambini a crescere. Anche i genitori lo fanno. Così come noi guardiamo cosa fanno i nostri figli delle loro vite, loro guardano noi per vedere cosa facciamo delle nostre. Non posso dire ai miei figli di cercare di raggiungere il sole. Tutto ciò che posso fare è raggiungerlo, io stesso.” Joyce Maynar

Per esprimere la sua Unicità il bambino ha bisogno del contesto adatto alla fioritura, vario e il più possibile positivo alla sua crescita fisica, mentale, spirituale. Diversificare gli esempi da seguire può aiutare ad orientarsi meglio nella realtà (anche quella interiore) ma attenzione, l’ accesso alle nuove tecnologie può aprire ad un eccesso di stimoli, per questo è importante entrare nel mondo del bambino e del ragazzo , vedere dove si stà dirigendo, chi guarda, chi ammira e perchè. Le canzoni che ascolta, le immagini che vede entrano a far parte del suo ambiente e contribuisce alla formazione della sua identità.

” Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare.” Il Signore degli Anelli

La comunità, che ha come punto centrale il bambino, si stà occcupando contemporaneamente del suo presente e del suo futuro. Un adulto che si occupa del suo benessere, di Essere la migliore versione di se stesso, stà insegnando la stessa cosa al bambino e stà contribuendo al benessere della comunità intera.

Maria Rosa Iacco


Sotto giudizio, come un genitore.

Quando nasce un bambino nascono anche una mamma ed un papà.

Prima di allora due persone sono ‘solo’ un uomo e una donna, con vari ruoli nella società a far parte della loro identità. Un figlio segna un ‘prima’ e un ‘dopo’ nella vita di una persona ; prima, per quanto possa essersi preparata a livello teorico, per quanto possa aver praticato con i figli degli altri , per quanto possa aver cercato nei libri, per quanto possa prendere o non prendere spunto dalla propria storia famigliare non sarà mai come il dopo. Nel bene e nel male le aspettative sono ben lontane dalla realtà, che sia il primo, il secondo o il quarto figlio.

Quando nascono una mamma e un papà (molto probabilmente anche prima) , nasce un giudice, rigido, implacabile e persistente, anzi molti.

Il primo, ed il più crudele è quello interiore : sarò una buona madre? sarò in grado di fare il padre? Saprò ascoltare i bisogni di mio figlio? Sarò in grado di dargli una buona educazione? Saprò comportarmi da buon genitore? Starò facendo la cosa giusta? Sarò all’ altezza? E milioni di domande simili che occupano la mente del genitore, minando costantemente l’ autostima e l’ operato quotidiano.

Gli altri sono i giudici esterni, i nonni, i fratelli, gli zii, i cugini, gli infermieri, i medici, gli amici, gli insegnanti, l’ istruttore di nuoto, di cavallo, di calcio, di danza, la signora del piano di sotto, la conoscente del palazzo di fronte e via dicendo…

Persone che, più o meno esplicitamente esprimono giudizi sull’ educazione (prettamente) o sullo stile di vita di una famiglia facendo per lo più paragoni o basandosi su ‘come dovrebbe essere’.

Il paragone è uno strumento per distinguere la critica costruttiva dal giudizio.

Chiaramente un esterno alla famiglia gode del privilegio, quando usato con coscienza e spirito di supporto, di poter osservare eventuali dinamiche o situazioni che dall’ interno si fatica a notare e questo è un vantaggio che può avviare circoli virtuosi di cambiamento, grazie al dialogo empatico e alla critica costruttiva.

Diverso è invece il giudizio espresso, come dicevamo, da un termine di paragone, di ‘meglio’ e ‘peggio’, di ‘si fa e non si fa’, ‘al suo posto avrei fatto’, ecc… giudizio o parere che spesso non è richiesto, che è parte del chiacchiericcio e non ha alcuna finalità di supporto alla famiglia. Questo ‘tribunale’ si va poi ad accompagnare al già proficuo dialogo interiore del genitore, innestando bombe di insicurezza e inadeguatezza che, di fatto, creano un gran caos.

Non esiste un ‘Manuale per la famiglia perfetta’, e se anche esistesse, spunterebbero sicuramente uno o più dissidenti.

Non esiste la famiglia perfetta in senso ideale, esistono famiglie guidate dall’ amore e famiglie in cui l’ amore bisogna proprio andarlo a stanare.

Puoi aver allattato tuo figlio al seno fino al sesto anno, avergli insegnato tutti gli sport del mondo, averlo iscritto alla migliore scuola della città, puoi avergli dato da mangiare cibo super biologico, puoi non averlo sgritato mai, usato tutte le tecniche possibili di educazione, e non necessariamente tutto questo fa di te un buon genitore.

Ogni bambino è un individuo unico e ciò che ha funzionato con un altro bambino in un altra famiglia (o anche con il fratello o la sorella più grande), potrebbe non funzionare con quel bambino in quel dato momento della sua crescita, in quello specifico momento della vita famigliare e in quella data predisposizione dell’ adulto.

Educare è un processo dinamico e mai unilaterale, è crescere insieme.

Posti alcuni pricipi di base specifici e scientifici rispetto alle fasi evolutive del bambino che possono rappresentare delle linee guida generali a cui fare riferimento in modo, appunto, generale, nello specifico di ogni situazione ciò che serve è il buon senso, un grande spirito di osservazione che permette di connettersi ai bisogni di quel momento specifico del bambino e molto molto Amore.

In una famiglia in cui regnano l’ attenzione ai bisogni fisici/evolutivi ma anche emotivi del bambino, l’ osservazione critica , il buon senso e l’ Amore (ultimo ma non ultimo chiaramente) quasi certamente possiamo trovare bambini e genitori felici, e non sarà poi così importante se la casa è in ordine, se i genitori sono insieme o separati, se il bambino non va a letto tutte le sere alle 9, se non mangia biologico, se è stato o non è stato allattato al seno eccetera eccetera.

Ai genitori dico questo, ci sarà sempre qualcuno pronto a proporvi un miglior metodo, un consiglio non richiesto o una critica per le vostre scelte educative, valutate sempre attentamente la fonte di queste critiche e soprattutto il fine ultimo.

State facendo il meglio che potete, nel momento in cui vi trovate, con quello che avete? Allora state facendo un ottimo lavoro ! Chiedete aiuto quando vi sentite in un vicolo cieco, questo può facilitarvi un pochino il compito ma sappiate che vostro figlio , vostra figlia vi amano immensamente a prescindere ( vi amano anche quando sembrano odiarvi, soprattutto durante l’ adolescenza, anzi, quello è il momento in cui hanno più bisogno del vostro silenzioso ma incrollabile Amore).

Vi dico anche che l’ amore non è nell’ evitare ai vostri figli le difficoltà della vita, di vario genere, dalla condizione economica alle separazioni, dalle famiglie allargate ai brutti voti a scuola, dalla frustrazione del no alle prime delusioni d’ amore, quelle le affronteranno comunque presto o tardi : prima imparano a trovare dentro di loro le risorse per affrontarle meglio sarà per la loro crescita.

Ascolate sempre ciò che vi sembra giusto fare , nel vostro profondo lo sapete, siate connessi a quell’ istinto animale che purtroppo abbiamo un pò perduto in onore del ‘ si è sempre fatto così’ oppure ‘tizia o caio hanno fatto così‘ e soprattutto connettetevi a vostro figlio meglio di un qualunque wifi esistente al mondo. Non mettetevi a paragone con nessuno, vostro figlio è unico e lo siete anche voi.

Buon cammino insieme ai vostri amati figli.

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