Caro Papà

La paternità non la si acquisisce di default generando un’altra vita. Si diventa padri nel momento in cui si sceglie di esserlo, di impegnarsi con il proprio figlio per essere per lui  tutto ciò che racchiude, secondo il nostro sentire, la parola “papà”. Gli standard con cui si stabilisce chi è un bravo papà, generalmente sono: protezione, sensibilità, accudimento. Un padre è colui che ci accompagna nel mondo. Ma non tutti i padri sono così. Non tutti riescono a donare protezione, non tutti hanno la sensibilità libera dal pregiudizio (ricordiamo che la pubblicità simbolo degli anni 90 era “l’uomo che non deve chiedere mai”) , non tutti si sentono in grado di accudire in toto un altro essere umano. Sono per questo, per forza, cattivi padri? 

Un padre è tante cose. Prima di tutto è stato un bambino, un adolescente e infine un adulto. Alle volte è incastrato nelle prime due,  alle volte le ha superate talmente tanto da dimenticarsene.

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Nel tempo ho potuto raccogliere testimonianze diverse sulla figura paterna. Alcune possono generare rabbia, fastidio, o perfino sentimenti di ingiustizia. Vi invito però a leggerle invece con la mente aperta e il cuore spalancato, per le grandi lotte e le importanti conquiste che questi figli e questi padri  hanno compiuto, perché non sempre la strada è in discesa, spesso le consapevolezze del ruolo si apprendono strada facendo e certo, è più faticoso per i figli, ma questo non significa che non possa essere anche un esempio di crescita personale importante.


“Mio padre mi prendeva a cinghiate. Ho preso calci e pugni. Ma mi faceva da mangiare, si preoccupava che avessi il cibo pronto quando tornavo da scuola. Ad un certo punto mi sono allontanata da lui. Non volevo più vederlo. Lui ha continuato a cercarmi, a tenersi informato. Dopo anni abbiamo riallacciato i rapporti. Non mi ha mai chiesto scusa, ma ho compreso che per la sua storia personale non poteva fare altrimenti. Ho compreso che lui per me c’è sempre stato, nonostante tutto. Alla fine, il senso di cura, l’ho comunque ricevuto da lui.”


“Mio padre è morto quando ero molto piccola. Non si è voluto curare, mi dicevano. La logica mi portava a pensare che non valessi abbastanza per lui, se nemmeno per me si era curato. Aveva preferito morire. L’ho pensato per tanti anni. Ho covato rabbia e rancore. Poi un giorno, un suo amico, incontrandomi mi disse: “hai proprio gli occhi di tuo padre. Me lo ricordo bene. Anche quando stava male non voleva andare in ospedale perché, mi diceva, “non voglio che i miei figli mi vedano così”. ” Quelle parole mi hanno permesso di comprendere mio padre. Di pensare che l’atto che giudicai egoistico per molti anni, in realtà era il suo gesto d’amore più profondo.”


“Ho odiato mio padre per molti anni. Lui faceva del male a mia madre ed io lo sapevo. Mi sentivo tradita da mia madre perché non mi ascoltava e non lo cacciava di casa, ma la colpa era di mio padre che non solo non faceva il marito, ma nemmeno il padre. Mai un “brava”,  mai un “ti aiuto io se hai bisogno”. C’era per tutti, amici, estranei… per tutti tranne che per me e per la sua famiglia. Negli anni ho covato tanta rabbia. Crescendo però ho iniziato a chiedermi cosa ci fosse dietro ed ho capito che soffriamo della stessa “malattia”: non ci sentiamo amati e apprezzati. Mio padre cerca approvazione fuori casa perché pensa che noi lo consideriamo un buono a nulla. Ho compreso mio padre e ho liberato me stessa da questo sentimento di rancore continuo. Ora il nostro rapporto è abbastanza sereno. Ho un figlio, lui fa il nonno ed è un bravo nonno.”


“Mio padre non è mai stato presente. Era sempre via per lavoro. Ma ricordo che quando la mattina era a casa, mi faceva l’uovo al tegamino e le fettine sottili sottili di mela. Ho pochi ricordi della mia infanzia, a volte anche distorti. Credevo che mio padre non ci fosse alle mie gare di sci, invece ho scoperto che lui era presente. Io non me lo ricordo, ma lui c’era. Ha lasciato mia madre quando avevo 25 anni, per un’altra donna. Ho passato i restanti 26 a detestarlo, seppur non apertamente, per la ferita che aveva inflitto a mia madre. È mancato senza che ci chiarissimo. Ora ho capito che ho portato un peso non mio e ho perso l’occasione di costruire un rapporto con mio padre, ma sto faticosamente cercando di ricostruire una verità su ciò che è stato.”


“Mio padre è sempre stato il mio pilastro. Le decisioni in casa le prende lui. Che fosse per gestire le nostre uscite serali o per il colore della macchina nuova, o le vacanze estive. Mio padre sceglieva e sceglie per tutti. Non perché sia un padre padrone, ma perché lui è quello saggio, quello che sa qual è la decisione giusta per tutta la famiglia. Senza mio padre non so come farei”


“Il mio papà è un giocherellone. Ha giocato con me fin da bambina. Era il mio compagno di avventure. Con lui facevo cose pazze, giocavo al Nintendo e mi divertivo un sacco. Non è il mio “vero” papà, ma per me è come se lo fosse. Gli sarò sempre grata per avermi accolto nella sua vita e avermi reso sua figlia.”


“Mio papà è a volte burbero, a volte spiritoso. Devo osservarlo bene per capire in che giornata sia. Mi rimprovera spesso e sottolinea sempre le stesse cose. Certo, anche io non miglioro e gli somiglio anche, perché quando litigo con qualcuno ripeto le stesse cose più e più volte. Con mio papà parlo poco di come mi sento, lui non esprime molto le sue emozioni e anche io le tengo per me. Però parliamo di tanti argomenti, lui è uno con molta cultura e mi piace quando mi spiega le cose che non conosco. Mio papà poi mi porta a sciare e a fare sport. A lui piace e anche a me. Sono i momenti migliori. Gli voglio bene e so che anche lui me ne vuole molto.”


“A me piace molto il mio papà. Abbiamo il nostro saluto segreto, facciamo la lotta insieme e sa quali cibi mi piacciono di più. A volte litighiamo, ma lui poi mi chiede scusa, mi guarda con i suoi occhietti e, anche se sono arrabbiata, mi passa la rabbia perché mi fa tenerezza.”


“Non mi sono mai sentita amata da mio papà. Non mi sono mai sentita abbastanza per lui. Ero la ribelle, la rompiballe, quella difficile da gestire. Questo mi ha portato a non sentirmi mai abbastanza per nessun uomo e nemmeno per me stessa, perché mi giudico sulla base di quanto piaccio agli altri. Penso di essere sbagliata perché non trovo la persona per me.”


“Mio padre era un testa di ….. . Ma con il senno di poi ho capito molte cose. Ha vissuto la sua vita soffrendo moltissimo per questioni famigliari importanti. Io e mia madre eravamo spesso soli. Lui ha vissuto per il suo lavoro. Lo consideravo semplicemente così: uno che lavorava e che fondamentalmente pensava a se stesso. Ha iniziato a stare male ed essendo figlio unico toccava a me occuparmene. L’ho fatto con quel rispetto dovuto in quanto figura paterna. Io, uomo dai valori saldi, non avrei potuto abbandonare mio padre, proprio in quanto tale. Ho scoperto che era bello prendersene cura. Che poteva essere fragile anche lui e che non era l’uomo che pensavo che fosse. L’ho salutato con dolore e lo ricordo con profondo affetto e molta più comprensione per come mi ha cresciuto. Se sono quello che sono è anche grazie a lui.”

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Questi padri e questi figli hanno fatto o stanno ancora facendo, un percorso di crescita insieme, giorno dopo giorno, sbagliando e perdonando, gioendo e soffrendo. Dobbiamo essere grati alla vita per le trasformazioni che permette, per le consapevolezze che ci fa raggiungere attraverso le esperienze.
Grazie ai papà che accompagnano i loro figli con amore e dedizione. Grazie ai papà adottivi, quelli che scelgono di essere padri. Grazie ai papà che sono pronti dal primo giorno ad accogliere i loro cuccioli. Grazie a coloro che diventano padri strada facendo, mostrando ai figli che si può sbagliare, ma anche rimediare. Grazie ai padri che non sentendosi tali scelgono di non esserlo o di non esserlo più: anche questo è, alle volte, un atto di rispetto verso i figli, seppur dolorosissimo. Grazie a quei padri che camminano con i loro figli mettendosi in discussione. A quelli che si commuovono guardando i propri bambini; a quelli che sono come nei film “orsi giganti che proteggono i loro cuccioli”, supereroi a viso scoperto.
A tutti voi, padri, grazie per il dono della vita.

“Caro papà,

sii il meglio che puoi, con i mezzi che hai. Se puoi, non ti arrendere con me, mi fido di te. Se puoi abbracciami la sera prima di andare a dormire, se non puoi mi basterà la tua buonanotte.

Caro papà, io ti aspetto sempre, ti accetto e ti perdono se serve. Sii indulgente con me. Fammi strada senza togliermi la luce e la fatica, seguirò i tuoi passi, ma voglio compiere i miei.

Caro papà, a volte ti farò vedere una nuova via, se puoi seguimi, scopriremo insieme nuovi orizzonti, se non puoi mi basterà un tuo sguardo di approvazione.

Caro papà, faremo grandi cose insieme, perchè saremo, da ora e per sempre, padre e figlia, padre e figlio. “


Buona festa!

Vedere il dolore invisibile: eutanasia e consapevolezza sociale

23 anni e sentire già il peso della vita. 23 anni e desiderare di morire per smettere di soffrire.
Una sofferenza così profonda, da non poterne toccare il fondo. Scorgerla infinita e credere che non ci sia più una via di uscita verso la Vita.


Shanti De Corte, belga, ha chiesto e ottenuto l’eutanasia per grave depressione e stress post traumatico. La ragazza all’età di 17 anni era sopravvissuta ad un attacco terroristico a Bruxelles. La sua vita da allora non fu più la stessa. La paura invase completamente la sua esistenza. Non riusciva ad uscire di casa, ad andare a scuola, a vedere amici. L’unica risposta che parve efficace fu la farmacovigilanza, con ben 11 antidepressivi giornalieri, per tenere sotto controllo tutti i sintomi.

Shanti De Corte (facebook)


Non cadiamo nel giudizio di una sua richiesta, né rispetto al suo sentire. Chiediamoci che cosa la società ha sbagliato verso questa ragazza. Che cosa si poteva fare per lei all’epoca dei fatti? Che cosa durante tutti questi anni? Abbiamo veramente fatto tutto il possibile per sostenerla? E non mi riferisco ai suoi genitori, che solo loro possono sapere il dolore che provano e che hanno provato. Parlo della società intera e del sistema che ha permesso ad una ragazza di 23 anni, di credere che non ci fosse più nulla da fare per lei. Di pensare che il dolore fosse più grande della gioia. Di credere che il male vincesse sul bene. Perché questa responsabilità va presa.
Negli anni ci sono state diverse riflessioni sull’eutanasia. Da un punto di vista religioso, sociale, culturale. Ci si domanda quando sia giusto concederla e quando no. Ma anche questo sarebbe un giudizio sulla scelta finale, senza invece porre l’attenzione al prima. Generalmente viene concessa per gravi difficoltà fisiche, dolore cronico e non alleviabile. È forse stata la prima volta ad essere stata concessa per il dolore invisibile: quello dell’anima. È forse questo che ci ha colpito maggiormente. Era un dolore non visibile, non palpabile, non misurabile, non udibile, che non rientrava in qualche tabella medica, eppure è stato preso in considerazione. La riflessione necessaria riguarda il fatto che per la prima volta, il dolore dell’anima ha avuto un importanza storica rilevante, al pari del dolore fisico. Questo però ci concede da un lato di mettere un punto importante sul fatto che la mente è fondamentale tanto quanto il fisico e pare una banalità, ma non lo è; dall’altro di iniziare a pensare a quali modi ci possono essere per far sì che non accada più. L’educazione è parte integrante di questa responsabilità. Il dolore invisibile va reso visibile, va visto e sentito. Bisogna educare i bambini, i ragazzi a rimanere sintonizzati sugli occhi degli altri, connessi al sentire profondo, affinché il dolore non passi inosservato.


Abbiamo subito una sconfitta importante con questa sentenza. Una ragazza è morta e mentre il progresso scientifico avanza continuamente e cerca e trova nuovi metodi, nuove sperimentazioni per le malattie più rare, più complesse e menomanti, al fine di evitare il più possibile un dolore così insopportabile da portare al desiderio della morte, meno si sente il movimento che sostiene il dolore psichico. Non possiamo più permettercelo. In un mondo di attentati; pandemie con restrizioni che minano gravemente la vita sociale; crolli economici e finanziari mondiali che portano al collasso moltissime aziende e conseguenti famiglie; il dolore dell’anima, quello profondo e invisibile, può portare a suicidi, a fine vita assistiti, a trovare comunque nella morte, l’unico sollievo possibile.

Non chiamatela depressione con un certo grado di disprezzo e di svalutazione. Non sminuite le situazioni, i drammi, il dolore profondo. Aprite gli occhi negli occhi dell’altro. Osservate, scrutate, accarezzate. Dobbiamo cercare e trovare nuove strade, continuare a tentare, a provare, a tastare territori inesplorati, per poter dare delle risposte più efficaci a situazioni drammatiche che segnano inevitabilmente la vita di chi le subisce, ma non può e non deve far arrivare una persona al punto tale da vedere nella morte l’unica fine possibile al dolore.


Il suo nome significa “pace”, che possa averla trovata in quella morte che le è sembrata rifugio.  

IL DOLORE INVISIBILE DEL LUTTO PERINATALE

Esistono dolori così profondi che risultano invisibili. Delle lacerazioni così intime che se non accarezzate, cullate, ascoltate, possono portare ad una morte silenziosa. Il dolore consuma. Alle volte lascia uno straccio umido a terra e spera che qualcuno lo possa raccogliere. Le lacrime versate sono così tante che il corpo si asciuga. Il cuore spezzato in mille piccoli pezzi non sa se battere più forte per tentare di restare in vita o lentamente per conservare energia sufficiente per battere ancora a lungo. È un dolore sordo ma acuto, lancinante. Guaisce come un cane abbandonato, ma la voce resta muta all’interno di noi. Il lutto perinatale che tantissime donne hanno subito e subiscono è un qualcosa di illogico. Nella naturalità del ciclo vitale, la morte arriva dopo aver vissuto a lungo e i genitori muoiono prima dei figli. Qui il processo si inverte e ci si ritrova a dover affrontare l’innaturalità. La morte di un figlio è una sofferenza talmente lancinante che ti lascia solo.

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Nessuno può comprendere ciò che stai vivendo: le sensazioni di perdita, le emozioni di rabbia, di ingiustizia che stai attraversando. La convinzione profonda che nemmeno il papà del bambino stia vivendo la medesima sfida, ci porta ad auto-isolarci e ad isolare l’altro.
Non è semplice avvicinarsi a chi sta soffrendo così tanto. Le parole non sono mai abbastanza. Il contatto a volte viene rifiutato. La paura di mostrare tenerezza verso il dolore e che questa venga vista come pena, porta spesso all’allontanamento. Così la madre si isola, il padre viene escluso, gli amici si allontanano e la sensazione di vuoto si allarga. Il baratro diventa profondissimo e tu sprofondi dentro. Vorresti morire, spegnerti, lasciarti andare. Lotti con il tuo corpo che conserva l’istinto di sopravvivenza. Lotti con la convinzione che resterai per sempre infelice. Il corpo si irrigidisce, il dolore diventa anche fisico. Ti guardi allo specchio e non sai più chi sei. Vedi una persona che non sei tu, ma che sai ti accompagnerà da ora in poi. Non ricordi l’ultima volta che hai respirato, o forse sì, è l’ultima volta che hai visto tuo figlio. Nell’ecografia o mentre dormiva nel suo lettino, all’interno di un’incubatrice o sul monitor dell’ospedale. Dopo non hai respirato più. Lui non c’è più e una parte di te si è seppellita insieme a lui.

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Lo hai sognato, immaginato, amato, sentito, visto, portato, nutrito. E poi non c’era più. Anche il tuo compagno lo ha sognato, immaginato, amato, sentito e visto. Lo ha portato con te prendendosi cura di voi, lo ha nutrito nutrendo te. Anche lui ha perso tanto. Anche lui vive l’ingiustizia. Si era visto padre, sognato situazioni, vissuto emozioni. Lo ha immaginato al mare, la sua prima volta sulla sabbia e l’acqua fredda; quando gli avrebbe insegnato ad andare in bicicletta o lo avrebbe guardato dormire beato pensando che fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Avete perso insieme la partita più grande della vostra vita, state vicini. Non vi perdete anche voi. E non illudetevi. Non ascoltate i consigli maldestri di chi per consolarvi vi dice di farne un altro che poi passa. Non passa. Non passa mai. E se non elaborate questo dolore, se non lo rendete più dolce, più sopportabile, vi lascerà a terra o peggio ancora, lo trasporterete in modi diversi sul figlio o la figlia che arriveranno dopo la sua morte.
Abbiate cura di voi e sappiate che non siete soli.

CiaoLapo Onlus è un organizzazione che si occupa di lutto perinatale e di accompagnamento e sostegno psicologico a chi affronta la dolorosa esperienza della morte del proprio bambino in gravidanza e nei primi mesi di vita. Sicuramente ci saranno altre organizzazioni di sostegno al lutto perinatale, io conosco loro, per questo mi sento di pubblicarne il nome.

Potrebbero esistere anche gruppi di autosostegno gestiti ed organizzati da chi ha subito questa perdita. Fate una ricerca nella vostra zona. Ci sono molte più persone di quante crediamo all’interno di questo burrone.

Per concludere vi lascio una riflessione personale che per me è stata di grande aiuto, ciò che mi ha permesso di andare avanti: partorire o far continuare a vivere la mia bambina, anche se in un modo diverso. Questo mi ha salvata. Nel mio caso mia figlia è nata con un progetto di un centro polifunzionale per il bambino e la famiglia chiamato Il Mondo di Anya 💚.
Ci sono milioni di modi per far nascere e vivere un bambino. Scegliete la vostra strada. In qualche modo così ristabilirete i posti a tavola al pranzo di Natale in famiglia.
Un abbraccio a tutti voi!
Manuela

Mamma single: tra gioie e dolori

Essere una mamma è già un arduo compito, ma essere una mamma single ancora di più. La sera quando si rientra a casa non si può condividere la propria giornata sgravando la mente dai troppi pensieri, anzi… ci si ritrova a dover pensare ai problemi dei figli e, nel peggiore dei casi, anche a tentare di trovare un dialogo perduto con il padre/ex compagno. E’ difficile tenere insieme tutto quanto: figli, lavoro, casa, economia, rapporti con l’ex e perfino se stessi. Si cade alle volte,ma non ci si può permettere di attendere qualcuno o qualcosa che ci aiuti a rialzarci, nè possiamo farlo fare ai nostri figli. Dobbiamo farlo noi e velocemente anche, perchè questo è ciò che ci si aspetta, questo è ciò di cui gli altri hanno bisogno. Ma voi, care mamme single, di che cosa avete bisogno? Inizialmente quando i bambini vanno dal papà si sente un vuoto che pare incolmabile, si ha troppo tempo per pensare ed arrivano i deliri più bui. Quando la situazione si assesta e si ha modo di riflettere serenamente sul tempo in solitaria, emergono impegni vari, che svagano, impediscono la caduta. Ma sei sicura che sia questo ciò di cui necessiti? Non lo sai. Spesso non lo sai nemmeno tu. Alle volte vorresti spegnere la mente e lasciare che tutto vada come deve andare, senza fare la tua parte per far girare la ruota. Ti domandi cosa succederebbe, se tutto continuerebbe comunque a ruotare. Certo che continuerebbe. Si sopravvive e si va avanti. Per qualcuno però, senza di te, sarebbe mera sopravvivenza.

Lotta cara mamma. Con le bollette, il cuore ballerino, le incertezze, l’ex, i figli, la vita stessa. Lotta per il tuo posto nel mondo, per ottenere il rispetto della gente che ti guarda con occhi giudicanti, spesso di scherno. Esistono, anche se raramente, sguardi complici, comprensivi, addirittura di elogio. Che ti siano di sostegno, mamma. Sei una grande mamma! I tuoi figli lo sanno, anche quando sembra di no. Nel tempo, con la crescenza, lo capiranno ciò che sei, quanto amore nutri e quanto di te hai messo in gioco per loro.

Ci sono o ci saranno momenti in cui penserai: ma chi me l’ha fatto fare. Saranno quelli i momenti in cui arriveranno e ti diranno “mamma, ti voglio bene!”Il loro sguardo guarisce ogni ferita, riporta la pace dopo ogni litigio. Tu ci sei. Loro ci sono.

Ci sono periodi di incertezze, di paure che devi tenerti dentro. Lo so cara mamma, non dubitare di essere sola. Cerca rifugio. Un figlio ammalato quando sei single vuol dire preoccupazione amorevole, problemi organizzativi, ansia da tenere a freno. Perchè restare sola? Le donne dovrebbero sostenersi a vicenda, come sorelle. I figli creano preoccupazioni, ma ci sono attimi, piccoli e infiniti, in cui li guardi e sai, con assoluta certezza, che non potevi fare nulla di meglio. E’ per tutti questi attimi che ogni mamma si rialza, che continua la sua lotta, che riemerge dalle ceneri. C’è una cosa però che hai paura di permetterti ancora: l’errore. Temi di incontrare una persona e che questa possa nuovamente colpirti e di riflesso i tuoi figli. Ma cosa sarebbe una vita senza amore? E’ questo che vuoi passare ai tuoi cuccioli? La paura di amare la persona sbagliata? Se li guardi sai già la risposta, perchè loro sono l’amore più grande e senza una forma d’amore non si può vivere. E dunque mamma, non smettere di essere Donna, di sbagliare, di soffrire, di gioire ancora. Sii la parte migliore di te e quando non ci riesci, perdonati. Usa per te la stessa clemenza con cui guardi i tuoi bambini. Te ne saranno grati.

E lo so cara mamma che a volte sei stanca, sfinita, sfibrata, piena di sensi di colpa. Che ti arrabbi, piangi e ti incolpi per non essere la mamma perfetta. Ti destreggi tra mille faccende e il tempo scorre veloce, non basta mai. Lo so che a volte hai paura di non essere abbastanza. Abbastanza brava, abbastanza forte, abbastanza indulgente, severa, dolce, spiritosa, fashion, gentile, giusta, abile, sportiva o chissà cos’altro. Non ti nascondere. Mostra le tue emozioni. Anche quelle più scomode. Lo so che un giorno hai guardato tuo figlio o tua figlia e hai pensato: “non lo riconosco più”. Un altro giorno però ti ha stupito con lo stesso effetto grandioso, facendo un gesto che riconosci come tuo, un gesto che hai fatto mille volte per insegnargli che è così che si fa. E così lo guardi e spero che ti sarai congratulata con te stessa perchè è anche merito tuo.

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Ti invito ad annotare come ti senti, nei giorni buoni e nei giorni meno buoni, quando tuo figlio fa qualcosa di inaspettato e quando invece ritrovi lo spirito che conosci; quando ti prendi cura di te, quando ti trascuri, quando ti concedi un’opportunità e quando ti permetti di sdraiarti sul divano e riposarti. Ti invito poi a non restare sola quando ti senti sola, a chiedere aiuto, a sostenerti e a sostenere con la tua esperienza altre mamme come te. Ti invito a scrivermi, all’indirizzo di posta elettronica apiccolipassisicresce@gmail.com e a condividere con me la tua esperienza se ne avverti la necessità. Ne potrebbe nascere una rubrica o ancor meglio un gruppo di sostegno presente sul territorio. Tu ci sei, io ci sono, è già un inizio.

Ora siediti se puoi, guardati e sii fiera di ciò che sei.

Le Donne sono Inferiori, gli Uomini non possono piangere: l’Identità Rubata.

Le differenze di genere fanno parte, culturalmente, di ognuno di noi, ma non solo… biologicamente siamo sicuramente diversi, ma come diverso è qualunque altro individuo rispetto a noi. Sono state instaurate però convenzioni sociali che limitano l’individualità, ci inscatolano in recinti prestabiliti da altri e se si tenta di uscire, si viene tacciati di essere “strani”. Tutto ciò che non è riconosciuto nei parametri stabiliti da chissà chi nel corso della storia viene bandito, additato come “non normale”. Un libro che ho apprezzato moltissimo sull’argomento è “Viola e il Blu” di Matteo Bussola e vi invito a leggerlo con i vostri bambini e nelle scuole, perché dà spazio a domande e riflessioni profonde su ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Viola è una bambina a cui piace il Blu, ma già alla sua giovane età, si accorge di come questo sia un problema, o meglio, la punta di un iceberg di “problemi” sull’identità di genere in cui ci vogliono inscatolare. Siccome sei femmina ti deve piacere il rosa, non puoi fare determinati sport, mentre se sei maschio non puoi piangere, non puoi lavorare meno di tua moglie e stare di più con i tuoi figli e figlie , e via via con “piccole” e grandi questioni, a cui il suo papà tenta di dare una risposta o di porre l’attenzione su come queste privazioni e predefinizioni di ciò che dovremmo essere ci fanno sentire. Un libro dalle parole semplici, ma profondissime, un testo da portare nelle case e nelle scuole, affinché si possa sdoganare la vera libertà di essere, indipendentemente dal genere a cui si appartiene.

Riprendendo il concetto iniziale, è certamente vero che a livello biologico siamo diversi e tutti i maschi hanno determinate caratteristiche fisiche e tutte le femmine ne hanno altre. Ci sono studi che riportano come anche i due cervelli siano formati in modo differente. Ma se prendiamo due donne o due uomini o due bambini o due bambine, troveremo comunque delle diversità, pur appartenendo allo stesso genere. Dove sta dunque la difficoltà nel comprendere, consapevolizzare e di conseguenza attuare e passare messaggi di libertà di individualità indipendentemente dal genere di appartenenza? La questione parrebbe semplice, gli studi ci sono, gli psicologi mostrano i loro pareri contrari a queste forme di restrizioni e recriminazioni, ma ancora una grossa fetta di popolazione continua a muoversi in questa direzione convinta che sia quella giusta. Ma osserviamoli i bambini e le bambine.Non facciamoci trascinare da bende invisibili che ci coprono gli occhi e trattengono le emozioni. Mostriamo loro che un uomo può piangere e che in questo modo evidenzia la sua umanità, non la fragilità, che se sta con i suoi figli e figlie non fa il “mammo” e non “aiuta la mamma” perchè quelli sono anche figlie e figli suoi e c’è un termine ben preciso che lo definisce: Papà.

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Ci sono memorie cellulari antichissime che il cervello rettiliano conserva e che supportano le azioni per la sopravvivenza, ma il cervello si è evoluto e ci sono altre parti che lo completano e lo rendono in grado di discernere ciò che sente e portarlo alla luce. Non saremo mai veramente liberi finchè non ci affrancheremo da queste convenzioni sociali che ingabbiano l’individuo e lo incasellano secondo un regime preciso. Le donne sono spesso viste come incapaci o elementi meno produttivi rispetto agli uomini. Le menti ottuse e barbariche continuano a perpetuare questo pensiero anche nei bambini. Ma se li osservate i bambini e le bambine , non ragionano per categorie. Un loro compagno si fa male o ha un momento di scoramento, loro non guardano se è maschio o femmina, si avvicinano, chiedono cosa è successo, si preoccupano sinceramente della persona che è in difficoltà in quel momento. L’Umanità. Tutta. Quella intera. Questo è l’insieme. Esiste un termine che ci comprende tutti ed è questo,UMANITA’, senza distinzioni di sesso, età, razza. Tanti sono i dogmi da abbattere e combattere, tante le limitazioni subite da entrambi i generi senza un reale motivo. Una presa di posizione surreale, ma talmente radicata da continuare a mietere vittime. Quante persone vivono il dramma del sentirsi sbagliate, che non vengono accettate per ciò che desiderano essere e questo “solo” perché non rientrano nelle categorie prestabilite. Genitori che rifiutano i figli e le figlie perché difformi da ciò che la società gli ha fatto credere essere la normalità. Figli e figlie affamati di accettazione, bramosi d’affetto, che ricevono abbandono e insulti per aver tentato di essere se stessi. Si pensa che i genitori amino sempre i propri figli, un’altra regola non scritta della società, considerata come “normalità”.

Che cos’è la normalità? Da cosa è data?

“E’ definita normale una condizione che si ripete in modo regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica di un individuo, sia a manifestazioni del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali ecc) più generali.” Treccani.

Dunque se tutti uscissimo per strada nudi per più giorni questa sarebbe considerata normalità e il non poterlo fare è dato solo dal fatto che nessuno lo ha mai sperimentato prima, per più giorni e in più persone. Ma pensate a cosa sarebbe il mondo oggi se nessuno fosse mai uscito dal recinto della “normalità”… Ci saremmo evoluti? Saremmo andati sulla Luna? Ci sarebbero state ribellioni e rivoluzioni, nuove invenzioni? Pensiamo alle donne che non potevano nemmeno pensare di laurearsi, o agli uomini che non potevano decidere di dedicarsi ai propri figli. Suonano come note stonate di un pianoforte non accordato, ma non parliamo poi di molto tempo fa e in certe parti del mondo ancora le cose stanno così, per citare forse piccole ingiustizie se si pensa ad altre atrocità inferte soltanto per il genere a cui si appartiene.

L’essere umano è Uno. Ci sono poi distinzioni di genere, razza, età, colori, ma è SEMPRE definito ESSERE UMANO.

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Riflettendo sugli spunti del libro con le mie bambine, ci si domandava proprio perchè, in lingua italiana, il plurale di un gruppo misto sia sempre definito al maschile. Un’altra convenzione stabilita da chissà quali intenzioni e finita per essere la “normalità”. Ma è davvero così “normale”? E soprattutto, è equo?

Ciò che spero sempre di passare ai bambini è l’idea che esistono pensieri propri che vanno tutelati. Osservare la realtà con pensiero critico e divergente permette di sviluppare innovazione. Non è detto che siccome “si è sempre fatto così” sia la cosa “giusta”. Se in un gruppo di 20 persone parla solo e sempre uno, le decisioni sono in mano a lui ecc, il gruppo non avanzerà più di tanto, perchè le idee rimarranno le stesse e non permettono di evolvere. La forza di un gruppo è invece la moltitudine di pensieri ed esperienze che ogni componente può portare per aiutare e sostenere la crescita del gruppo stesso.

Siamo ciò che siamo, donne o uomini, ma abbiamo il grande immenso compito di riconoscerci in un unico genere, l’Umanità, e trasmetterlo ai nostri bambini. RIBELLIONE significa Ritornare al Bello. Concediamo ai nostri bambini la speranza di un mondo migliore. Siate fautori di questa grande RI-BELLIONE!

Manuela Griso

Il Dolore degli Altri



Non puoi sapere quanto dolore sta provando l’uomo o la donna o il bambino seduti vicino a te. Puoi vedere le loro lacrime, il viso contrito dalla sofferenza, il corpo offeso dal dolore, la disperazione dei famigliari, la speranza abbandonata su una sedia vuota. Puoi osservare e provare a sentire come il tuo corpo risponde a tutto questo. I pensieri che si inseguono nella tua mente alla ricerca delle parole giuste, del gesto perfetto, del dono che può alleviare tutto questo. Mi dispiace, ti capisco, è successo anche a me, sono qui per te, ti sono vicino…. sono queste le parole che pensiamo e pronunciamo più spesso in determinate occasioni. Ci sembrano piene, rotonde, adatte. Formalmente lo sono. Nella sostanza nulla è adatto. Nulla è perfetto. Perché la situazione non muta. Certo, sicuramente messaggi, pensieri, lettere e buone parole fanno da placebo e mostrano alla persona interessata che le vogliamo bene. La presenza sostiene. Ma quando si dice che si Nasce soli e si Muore soli, è una grande verità. Per quante persone possiamo avere accanto, è la nostra fetta di vita e possiamo viverla solo noi. Il dolore è così. Anche se siamo in due a soffrire per la stessa ragione, ognuno avrà il suo tormento da affrontare, portare avanti o lasciare andare. Nessuno può farlo al posto nostro. È dunque importante non giudicare il dolore altrui. Non possiamo percepire le sue stesse sensazioni, nè fisiche nè psichiche. La fatica, il mal-essere. Non ci resta che accogliere fin dove possiamo e farci presenza silenziosa. Un’anima affranta dedica pensieri alla vita, alla morte, all’amore, ai grandi temi esistenziali. Si pone domande, ricerca risposte, vaga nella mente e crea caos fuori da sé tanto quanto ne ha all’interno. Smuove acque, terreni, montagne… crea valanghe per poi ricostruire con consapevolezze nuove, fatica e fragile fiducia. Come si può comprendere tutto questo movimento? Come si può pensare di entrare appieno nell’energia, nella disperazione, nel dolore che sente l’Altro?

E’ potente e sacro il corpo. Egli lotta, giorno dopo giorno, per le sue funzioni vitali e lo fa silenziosamente, senza dare fastidio. La mente alle volte lo aiuta, altre lo mutila. Dal di fuori di quel corpo tutto sembra semplice, logico, spesso privo di fondamento. “Com’è possibile che non lo veda?” “Come si fa a soffrire così per questo?” “A me non sembra che stia poi così male…” Questi sono i pensieri che ci possono attraversare alle volte, perché indossiamo scarpe diverse da quell’individuo, occhi grandi pieni di compassione, empatia e amicizia, ma che semplicemente appartengono ad un altro corpo. E perfino se quella situazione l’abbiamo vissuta, se possiamo comprenderla con la fina mente, con la logica conseguenza di un vissuto, il nostro non sarà mai uguale a quello dell’Altro. Ogni individuo è unico e così il suo dolore, nonostante sia stato rimestato, maneggiato, rivisitato e consapevolizzato da tanta gente, nessuno è quella persona che lo sta vivendo in quel dato momento. Nessuno può levare la coltre creata dalla sofferenza, ma il corpo, egli, come un eroe antico, continua a lottare per esercitare le sue funzioni, per non morire. Coccoliamolo quel corpo, dedichiamogli pensieri dolci, carezze delicate; alimentiamolo di fiducia piena; osserviamolo mentre si lascia attraversare dal tormento; incoraggiamolo nel continuare a lottare per la vita; abbracciamolo. Non si arrenderà!

Caro Amico, Cara Amica che stai soffrendo,

qualunque sia la ragione della tua angoscia, concediti un respiro. Esso da ossigeno ai polmoni, rilassa lo stomaco, rinfresca i pensieri, libera la creatività, accoglie la speranza sparsa intorno a te da chi ti vuole bene. Accogli l’infelicità di questo momento, ti renderà più lieti i giorni che verranno quando essa cambierà cammino. Siediti, riposa la schiena, rilassa le spalle che tanti pesi stanno portando in questo particolare momento, allarga le braccia per raccogliere l’affetto dei tuoi cari e quando ti rimetterai in piedi, ringrazia le tue gambe che con fatica continuano il cammino verso la luce vitale dei tuoi sogni. Apri il cuore, pomperà il sangue nella direzione più giusta per te. Dì alla mente di riposare un momento, che sarà il corpo a prendersi cura di te. Respira a fondo amico, amica, non tentare di comprendere ora, ci sono dolori così profondi che non possono essere compresi dalla mente umana. Apri ancora le braccia e ora stringile al petto in un abbraccio che comprenda le mille braccia di chi ti ama. Sentile tutte sulla pelle, il loro cuore batte all’unisono con il tuo. Non sei solo, non sei sola, nemmeno per un momento lo sei stato e nemmeno per un momento lo sarai. Accogli dentro di te l’amore che viaggia ad alte frequenze, ti aiuterà a vibrare e tutto cambierà forma. Sii sincero con il dolore, non nasconderti e lascialo passare. Per finire caro amico, cara amica, accendi la musica, canta e balla se puoi, donati amore e affidati alla vita.

Manuela Griso

Il Tempio sacro della Donna. Vivere il corpo oltre l’ ideale.

Se possiamo godere del piacere dei sensi, se possiamo orientarci nell’ ambiente, pensare, sentire e soprattutto sperimentare la vita in tutte le sue sfumature è grazie al corpo, questo ‘strumento’ magnifico e perfetto ricettore del mondo esterno , conduttore e amplificatore di quello interno.

Il corpo comunica sempre, ci identifica, ci presenta al mondo e traduce per noi il mondo. L’ ambiente esterno e quello interno sono in continua comunione e reciproca influenza; gli effetti dunque sono osmotici ed il corpo il principale risultato di questo scambio.

Il corpo delle donne nel corso dei secoli è stato fortemente ‘canonizzato’, l’ideale di bellezza è cambiato radicalmente nel corso dei secoli e cambia tutt’ora in base al sistema socio-culturale in cui si trova ‘esposto’ . Nel generico accade che una cultura celebri in alternanza uno stile piuttosto che un altro, spesso ad uso e consumo di industria e produzione. La fisicità della donna sopperiva (e sopperisce tutt’ora) al canone estetico della moda del momento, sottoponendosi anche a durissime e rischiosissime pratiche ( corsetti, fasciature e stringhe, digiuni, malformazioni fisiche varie ecc.).

Tutt’oggi si aspira ad un ideale di perfezione fortemente e subdolamente indotto dalla pubblicità, dai social media e dalle case di moda; solo marginalmente iniziano a svilupparsi movimenti di ‘normalizzazione’ del corpo nelle sue naturali manifestazioni che, differendo dal canone ideale, vengono altrimenti chiamati “difetti” .

Molto facilmente quindi una giovane donna può crescere scollegandosi dal suo corpo, dai suoi bisogni reali e dal suo naturale modo d’ essere per seguire il modo in cui DEVE essere (pena la possibile emarginazione dal gruppo o dalla società) , perdendo così la connessione con la sua ciclicità.

Non a caso negli ultimi tempi aumentano situazioni problematiche nel rapporto con l’ alimentazione, dall’ anoressia all’ obesità passando da varie etichette ,tra cui la più moderna e variamente interpretata “curvy” ; non a caso , con il bombardamento di immagini a cui siamo sottoposti aumentano situazioni di bullismo (cyberbullismo) o body shaming ( l’ atto di deridere una persona per una qualsiasi caratteristica del suo aspetto fisico), non a caso milioni di donne si ammalano sempre più di tumore al seno o all’ utero, non a caso milioni di donne riportano problematiche e difficoltà con l’ apparato riproduttivo, non a caso questo può avere ripercussioni anche nella relazione con la propria sessualità ed il relativo piacere.

Proprio per la sua capacità creativa e rigenerativa il corpo di una donna in un solo mese cambia almeno 3 o 4 volte; nel corso di una vita intera mantiene una costante che è appunto il cambiamento. E’ per preservare il benessere del corpo stesso, durante queste cicliche e naturali trasformazioni ,che è importantissimo ampliare il più possibile il livello di coscienza e conoscenza del proprio corpo in modo da accompagnarci durante queste trasformazioni e trarne il massimo beneficio psico-fisico. Sarebbe utile, per non dire forse necessario, (a mio avviso indispensabile), educare le giovani donne al rapporto con il ciclo mestruale, alla relazione diretta con il proprio corpo, con i cambi ormonali, con la fame reale e quella emotiva, con il bisogno di riposo, il bisogno di movimento, la flessibilità, il sonno, le emozioni, la pancia e il cuore.

Il senso del ‘bello’ non è mai un valore assoluto ma la coscienza collettiva per il momento ha tutto l’ interesse a renderlo tale. Attualmente il culto della bellezza femminile è collegato maggiormente ,come condizionamento culturale, alla magrezza e/o alla massima definizione del muscolo ( condizionamento che interessa e attiva diverse macchine economiche – industriali ) oltre che all’ idea di ‘perfetto’, niente smagliature, niente peli, niente rughe o segni del parto : il corpo della donna è ancora fortemente erotizzato, reso oggetto ad uso e consumo a volte delle donne stesse che sono le loro peggiori nemiche.

L’ immagine della Donna ha ancora molta strada da fare per potersi ritenere “identità libera e forte”. L’ indipendenza economica non basta per poter affrancare la figura della donna dalle problematiche del passato, anzi io credo che si sia imprigionata ancora di più in segrete ben nascoste. Bisogna passare anche (e ancora) dall’ indipendenza affettiva, emotiva e dal riprendersi il proprio corpo, viverlo con cosapevolezza e elevarlo a Tempio per l’ anima.

Il benessere del corpo non può essere calato dall’ alto e nemmeno provenire dall’ esterno in senso generale ; una relazione sana con il proprio corpo è un patto di alleanza , un unione che permette di accedere anche alla dimensione dell’ anima. Corpo ed emozione sono strettamente connessi, corpo e pensiero sono strettamente connessi, l’ anima che tiene insieme tutto e che lo eleva a tempio ha bisogno che ci sia questa alleanza per esprimersi. A volte bisogna disimparare ciò che abbiamo fatto nostro dall’ esterno per imparare l’ ascolto e la cura di reali bisogni e necessità, perchè il corpo parla sempre.

Il poeta e scrittore tedesco Christian Morgenstern diceva : ” Bello è tutto ciò che si guarda con amore”.

Allora un corpo che viene trattato con rispetto e amore non può che essere anche portatore di bellezza.

Una donna che entra in contatto con la sua ciclicità, la sua capacità di trasformarsi, di generare nuova vita nella varie forme e modalità con cui la Vita può esprimersi ,diventa una donna che comunica non solo con il corpo ma anche con l’ anima, diventa una donna attraente nel senso che può portare a sè le persone in modo da condividere il suo stato, il suo contatto profondo con il corpo, la sua bellezza più vera.

Auguro ad ogni donna di godere e onorare questo bellissimo dono, partendo esattamente da come è.

Maria Rosa Iacco

Mente, Cuore e Grembo

Ho appreso che serve il coraggio di molti ‘No’ per dire ‘Si’.
Che Donna è una sirena , ed anche albero , naviga gli abissi e affonda le radici.
Donna è MATER-ia , essa vivifica il creato , plasma , è tocco d’ amore, sentire d’ istinto.
Donna ha due centri energetici vibranti di cura, il suo cuore e il suo utero.
Figlio della Mater è tutto ciò che, da un idea di essenza ,diventa Presenza, istanza creativa che dall’ Etere si fa Forma.

Ci sono molti modi in cui una Donna può decidere di annientare la sua Natura , uno di questi è scegliere una via di sterilità creativa, scegliere di non scegliere , di non Mater-ializzare il frutto del suo grembo. Si possono persino avere figli in questo stato di sterilità, oppure no, non è questione di biologia ma Creazione.
Ogni volta che si annienta, o anche solo si dimentica la mater-ia a favore del pensiero si crea disequilibrio.
Il frutto della sola mente è acerbo , marcio o velenoso se non passa dalla costruzione del reale e, soprattutto, dal Cuore.

Catrin Welz-Stein Tutt’Art@


Mente , cuore, grembo sono vita quando viaggiano all’ Uni-Sono.
Di quanti ‘aborti’, figlia della Terra, hai ancora bisogno per comprendere che solo nella Tua profondità puoi trovare la Forza?
Quante violenze vuoi importi ancora per paura di restare sola? Quanto ancora vogliamo attribuirle all’ uomo, al maschile, dimentiche che quel maschile giace sofferente in noi?


Vedi, l’ uomo che ti attende già costruisce la vostra casa , e tu con il tuo fuoco la scalderai. Bisogna solo che tu lo veda, che tu Ti veda attraverso la sua Mani-fest-azione.
Una festa di mani, di tocco, di Creato.
Perché allora ti abbeveri ancora in pozzi sfiniti e risonanti di parole vuote ? È forse secco il tuo ventre al punto da riempirlo solo di vento ?
Hai così paura della pienezza che già sei?


Giardino rigoglioso ti attendete se smetti di bruciare ogni germoglio con la paura ed inizi ad innaffiare d’ amore la mater-ia che Vi plasma entrambi.
È lì a un passo da te, bisogna solo che trovi il coraggio di guardarlo davvero, di guardarTi.
Sono solo le vostre scelte che minano l’ in-contro.

Oggi sul rogo ti ci mettono ancora , ma ancor peggio è che, di fatto, ti bruci da sola.

Serve il coraggio di molti ‘No’ per partorir’Si’ ad ogni ciclo di rinascita.

Maria Rosa Iacco

Anno 2020:Siate il Cambiamento, Siate la Ri-Nascita

La Natura ci sta mandando chiari segnali. Stiamo prendendo la direzione sbagliata. L’Universo vuole mostrarci la via. Ha atteso, a lungo, che mostrassimo un po’ di rispetto, che ci prendessimo cura della Terra come la nostra casa, che vedessimo l’altro come un fratello. Ci ha ritrovati nemici nello stesso angolo di mondo, abili guerrieri per materia effimera, dispensatori di falsi valori, egoisti incuranti della nostra stessa casa.

La storia si ripete. La malattia, la Natura che si rivolta e distrugge. Ci sta ripagando con la stessa moneta. Non è punizione, è CONSEGUENZA. Ad azione corrisponde una reazione. Ce lo insegna l’educazione, ma anche la scienza, la chimica, la fisica. È venuto il tempo di pagare le conseguenze delle nostre azioni. Di subire le reazioni.

L’anno 2020 sarà ricordato come l’anno della distruzione, del non ritorno.

L’umanità si rialzerà, come sempre dopo una guerra. Si conteranno le vittime invece dei superstiti, perché si sa che fa più notizia la tragedia del lieto fine. Rispettoso dare nota alle vittime, certamente coloro che avranno avuto un ruolo meno incisivo nell’avvio della catastrofe, perché in ogni specie, è il più debole a soccombere. Voglio credere però che i superstiti siano in grado ora di ricostruire, ma non la vecchia strada.

Voglio credere che si possa creare una nuova via, per le auto e le case, ma anche per le anime. Le conseguenze non finiranno se non avverrà il cambiamento.

Chiunque lo senta dentro, questo cambiamento, questo richiamo alla ri-costruzione di un mondo nuovo, si faccia avanti. Crei un’ideale, una visione, unisca le forze per una comunità di intenti e realizzi la vera Fiducia, la vera Umanità.

Un piccolo villaggio nella campagna, poi un altro e un altro ancora. L’eco si espande e così come il male, io credo che si possa espandere anche il bene, con la stessa potenza, se non superiore. Ce lo insegnano le favole, che hanno un tempo indeterminato apposta per essere immortali, che alla fine il bene vince sul male e c’è sempre una morale. Che questa morale non sia solo un bieco insegnamento che svanisce nell’arco della storia, ma che sia l’istinto più alto dell’essere umano a portare ogni sua fiamma vitale alla realizzazione di un BEN-ESSERE dell’anima.


Siate audaci, siate sognatori, siate guerrieri del ben-essere.
La natura ci sta mostrando che è l’essenza che conta. Tutto ciò che appare può essere spazzato via in un attimo, anche se profondamente ancorato. Non è necessario. È l’anima che conta. E dunque espandete cultura, buoni sentimenti, intelligenza, rispetto e fiducia. Siate autentici. Siate la parte migliore di voi, ma anche la peggiore, affinché ci si possa riconoscere come essere unico e inimitabile. Destiamoci da questo incubo e ringraziamo la Natura di questa possibilità di ri-nascita. Una nascita consapevole del fatto che siamo solo di passaggio e se non vogliamo essere spazzati via, dobbiamo Essere e poco fare.
Buon anno di Ben-Essere a tutti voi!

Manuela Griso

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