Cosa si intende con Educazione Alimentare e quando iniziarla?
In risposta ad un crescente numero di casi di obesità e disturbi alimentari tra i giovanissimi, l’educazione alimentare può essere un primo strumento di prevenzione e di costruzione di un rapporto sano, consapevole con il cibo ed il nutrimento.
All’interno dell’educazione alimentare bisogna infatti considerare non solo l’aspetto nutritivo in senso stretto e “biologico” ma anche quello sociale ed emotivo che gira intorno all’atto del nutrirsi.

Saziarsi e nutrirsi sono due cose differenti infatti e spesso ci preoccupiamo che il bambino lasci il piatto pulito più del cosa e come mangia. Di cosa si nutre nella sua completezza.

Quando iniziare, dunque, un percorso di educazione alimentare ?
Dalla gravidanza ma ancor prima dall’adulto stesso.
Fin dalla gestazione il bambino è in grado di distinguere i gusti e processare diversi alimenti assunti dalla mamma (gusti che poi riconoscerà attraverso il latte, se allattato al seno, o con lo svezzamento) ed è esposto al rapporto che la mamma (pricipalmente in questa fase, ma poi tutti i componenti della famiglia saranno presi ad esempio) vive con i cibo.

Quelle che sono le nostre abitudini alimentari, come stiamo a tavola, come e cosa mangiamo ed anche tutto il significato emotivo che attribuiamo al cibo viene assimilato dal bambino che osserva, imita e introietta. Non possiamo pretendere che i bambini mangino più verdure (o legumi o altro) se per primi non siamo noi a consumarne abbastanza, solo per fare un esempio.

Rispetto ai principi qualitativi e quantitativi della sana alimentazione rimando alle figure professionali, nutrizionista e/o pediatra, purchè siano aggiornati su studi scientifici recenti ed in grado di applicare una visione integrata dell’individuo (in questo caso del bambino e della famiglia).

Soffermiamoci insieme su quanto l’ambiente fisico e psichico siano determinanti nella relazione tra il bambino ed il cibo.

Quanto e come vengono condivisi i pasti? Come viene gestita la fase della selettività (che gran parte dei bambini attraversano)? Quali altri significati (spesso nascosti) assume il cibo nela vostra famiglia? Qual è l’emozione predominante rispetto al nutrirsi? Preoccupazione, angoscia, gioia, indifferenza?

Affinchè il bambino possa ricevere un’esperienza il più possibile positiva e libera da condizionamenti il momento del pasto dovrebbe essere un momento condiviso con la famiglia, di modo che lui possa osservare ed apprendere quelle che noi potremmo chiamare le “regole della buona tavola” ma anche associare il pasto alla convivialità e alla condivisione. Per questo si consiglia di fare in modo che il bambino, fin dallo svezzamento, possa sedere a tavola con tutti e , se e quando possibile, accomodare i nostri orari affinche questo possa accadere almeno una volta al giorno.

La relazione con il cibo è un’esperienza che richiede l’intervento di tutti i sensi, per questo è preferibile dedicarvi la piena attenzione, di modo che sia un’esperienza piena e soddisfacente. Utilizzare distrazioni come giocattoli, video, tablet e similari con il solo scopo che il bambino finisca tutto (o che resti tranquillo a tavola) si rivelerà alla lunga controproducente. Stiamo insegnando al bambino due cose : ad ignorare il proprio senso di fame e sazietà, a gestire il pasto sempre e solo insieme ad un altra attività correlata (in assenza della quale potrebbe trovarsi in grande difficoltà).

Noi siamo ancora molto condizionati dai tempi dei nostri nonni o bisnonni in cui vi era , per molti, il vissuto di una scarsità delle risorse alimentari; diventava dunque di primaria importanza che si finisse il piatto; noi per primi, spesso, siamo assoggettati a questo condizionamento. Ad oggi possiamo abbandonare piuttosto serenamente questo retaggio e tornare ad affidarci alla saggezza del bambino che, per istinto, sà, è più connesso di noi, se gliene diamo la possibilità, al senso di fame e sazietà. Possiamo anche abbandonare la pretesa, grazie a questo istinto, che i giorni siano tutti uguali; ci saranno momenti in cui il bambino avrà più fame del solito e mangerebbe il doppio di quanto preparato ed altri in cui gli basteranno due cucchiai di minestra, momenti in cui mangerebbe solo frutta ed altri in cui sperimenta volentieri tutte le nostre proposte. Le variazioni possono dipendere da molteplici fattori, caldo, freddo, stanchezza, bisogno di energia, scatto di crescita, selettività, cambiamenti come inserimento all’asilo/scuola, traslochi e varie.

SIGNIFICATO EMOTIVO

Il cibo per tanti di noi non è “solo” cibo. E’ noto che i disturbi alimentari arrivano a colpire fasce d’età sempre più basse, complici sicuramente i media, i social, e una cultura del “magro è bello” ma anche (e mi viene da dire soprattutto) un significato attribuito al cibo che ha a che vedere con le esperienze emotive e relazionali.

“Il bambino non MI mangia”

“Oh che brava bambina, hai mangiato tutto!”

” Se fai il bravo ti prendo un gelato.”

” Dai, tirati sù con un cioccolatino!”

” Visto come ti sei comportato questa sera salti il dolce.”

” Dai, ancora uno, fallo per la mamma.”

” Il cioccolato fa male, non devi mangiarle assolutamente.”

” Non ti sembra di esagerare? Se continui così diventi ciccione e nessuno ti vorrà”

” Per punizione andrai a letto senza cena!”

Questi sono solo alcuni degli innumerrevoli esempi che si possono fare di situazioni in cui potrebbe essere attribuito un significato emotivo al cibo e che vengono così interpretati : se finisco tutto il piatto la mamma (il papà, la nonna, la maestra…) mi dirà che sono bravo (al contrario sarei dunque cattivo), la tristezza può essere gestita mangiando, ho ancora fame ma provo vergogna. Il bambino imparerà ad attribuire un significato emotivo al cibo e al momento del pasto, inizierà ad affiancarlo all’approvazione, alla disapprovazione, alla vergogna e molto altro, perdendo molto probabilmente la sua capacità di autoregolarsi, iniziando a catalogare i cibi dividendoli in buoni e cattivi ma anche e soprattutto utilizzando egli stesso il cibo come mezzo di protesta, merce di scambio e metodo di regolazione emotiva (perchè così gli abbiamo insegnato).

Il bambino acquisisce naturalmente le abitudini alimentari della famiglia, questo significa che non possiamo “predicare bene e razzolare male” ma soprattutto che i primi a doverci mettere in discussione siamo noi adulti iniziando ad osservare e portare consapevolezza al nostro rapporto con i cibo, il nutrimento e tutte le idee e convinzioni ad essi correlati. Siamo poco credibili quando chiediamo al bambino di mangiare le verdure e la frutta che noi per primi non mangiamo. Difficilmente potremmo ottenere che il bambino non colleghi la regolazione emotiva al cibo se noi per primi dichiariamo di consolarci con un pezzo di dolce.

Se vogliamo crescere un adulto che abbia un rapporto sano con il cibo per prima cosa dobbiamo informarci, far cadere ciò che può risultare dannoso (ad esempio cibo buono/cibo cattivo può essere sostituito con cibo da poter mangiare a volontà e cibo da assumere a piccole dosi) e assicurarci che emozioni, crisi, premi e punizioni non abbiano nulla a che fare con il mangiare o meno. Compito dell’adulto è lasciare sperimentare il bambino con i suoi cinque sensi questo mondo ricco di stimoli e sensazioni, ponendo limiti chiari e coerenti. Motivando se e quando necessario, passando in modo semplice una corretta informazione : “sò che la torta era molto buona e ne vorresti una seconda fetta ma è anche tanto dolce e una fetta è più che sufficiente. La mangeremo di nuovo domani (o un’altro giorno)”. “Vedo che hai finito tutto il piatto, avevi proprio fame vero?”. “Vedo che non hai molta fame oggi, va bene lo stesso, mangerai poi a merenda/cena se ti verrà.”

SELETTIVITA’

Come affrontare la selettività? Quella della selettività è una fase che molti bambini attraversano, anche bambini che prima mangiavano tutto possono iniziare a scegliere e scartare alcuni alimenti. Cosa fare dunque? Offrire sempre un’alternativa? Eliminare quegli alimenti dalla tavola? Nasconderli in polpette e torte salate “cosi le mangia lo stesso”?

Personalmente non sono un fan del “cibo nascosto” ma, cambiare la forma del cibo offerto può essere un modo diverso per farlo apprezzare. A volte la selettività ha a che fare non solo con il gusto in se ma anche con la consistenza o l’odore. Una zucchina lessa può essere un’esperienza molto diversa da una zucchina grigliata, al vapore, impanata o in polpetta. L’ideale sarebbe variare modi di preparazione e ciclicizzare gli alimenti per tipologia e stagionalità. Una regola aurea resta quella di continuare a offrire l’alimento rifiutato accanto ad altri accettati, ad un certo punto verrà “riammesso”. Con qualche piccolo accorgimento la selettività rientra mantenendo in alcuni casi gusti e preferenze legittimi e sacrosanti (possono continuarmi a non piacermi le zucchine ma mangiare volentieri altri tipi di verdure). E’ chiaro che se il bambino vorrebbe solo pasta e noi prepariamo solo pasta (perchè “altrimenti non MI mangia”) gli rendiamo difficile il superamento della fase. Gereneralmente possono essere ammesse un paio di alternative attenendoci a ciò che è disponibile in casa ed è preferibile mantenere una linea oraria per i pasti di modo che anche il bambino possa orientarsi.

Nostro compito è quello di accompagnare il bambino verso una relazione con il cibo sana ed equilibrata, fatta di quotidianità, eccezioni, gusto e consapevolezza. 

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