Il portare fuori tutto ciò che si pensa di avere da offrire, non sempre porta gli altri all’ammirazione e al desiderio di averci con sé. Alle volte, una mera pacata essenza è la chiave per far arrivare le persone giuste per te. L’ostentazione perenne e non guidata, può portare all’allontanamento dell’altro. L’esagerazione, l’essere per forza al di sopra delle righe per sentirsi degni, per mostrare il proprio valore, fa sì che si percepisca in realtà il dato opposto: metti in mostra tutto perché evidentemente sotto hai poco.
La cultura dell’essere sempre al Top, sempre i numeri 1, genera frustrazione, bassa autostima, eccessiva competizione, che porterai nella tua vita a 360°. La userai con i tuoi figli, pensando di spronarli a fare del loro meglio, in realtà genererai solamente il sentirsi perennemente inadeguati, mai in cima al tetto del mondo, perché il tuo motto è “potevo fare di più”. C’è sempre un di più. Si lodano i 10 in pagella, ma ci si aspetta che quello standard sia uguale sempre. Ogni anno. E se non accadesse?
Si ammirano risultati sportivi eccellenti, ma cosa accadrebbe se un giorno arrivasse secondo?
La pretesa costante di essere sempre “il meglio che c’è” spinge le persone ad indossare la maschera ideale per ogni occasione, diventando così facili manipolatori della mente altrui. Si impara in fretta a dire solo quello che piace all’altro, ad omettere le parti scomode, ad elogiare continuamente. Perché apprendiamo questo meccanismo? Fin da piccolissimi il nostro cervello rettiliano ci mostra la via per la sopravvivenza: piangere per attirare l’attenzione, al fine di essere curati. Presto il bambino comprenderà che non è sufficiente solo la mera sopravvivenza fisica, ma è necessario essere amati per sperimentare appieno la soddisfazione. Crescendo egli comprenderà quali risposte/azioni siano più attrattive per il caregiver e il suo cervello lascerà una traccia sulla strada intrapresa, contrassegnandola come una via efficace per ottenere cura e amore. Potete immaginare a questo punto come sia stato alto il grado di difficoltà di ottenimento della cura e dell’amore da parte di chi oggi è un adulto che punta perennemente al gradino più alto del podio. Essendo genitori, abbiamo il DOVERE di porci queste domande e darci le nostre risposte.
Mio/a figlio/a si sente amato da me? Deve comportarsi in un certo modo per essere amato? Gli lascio la possibilità di sbagliare? Lo accolgo quando è in difficoltà? Lo accuso se non ha sempre risultati scolastici eccellenti? Reagisco con rabbia se non riesce a portare a termine un compito che gli è stato assegnato? Pretendo che sia il miglior giocatore/nuotatore/ginnasta/ballerina della sua squadra? Sono deluso quando fa i “capricci”? Io che bambino sono stato? Mi sono sentito amato? Dovevo elemosinare l’amore? Potevo dire di no ai miei genitori? I miei “capricci” come venivano gestiti? Le mie opinioni erano considerate sciocche?
Ci sarebbero milioni di domande da farsi, ma queste possono essere una buona base di partenza da cui prendere spunto per riflettere profondamente sulla questione. Perché c’è un’enorme differenza tra lo spronare i nostri figli a dare il meglio di sé e il farli sentire inadeguati ed insoddisfatti di sé se non raggiungono il risultato che ci aspettavamo. C’è un detto che dice: “un fiore non pensa di competere con il fiore accanto, semplicemente fiorisce” (Zen)Questo dobbiamo insegnare ai nostri figli e permettere a noi stessi: di fiorire sempre, al meglio di ciò che siamo, senza pensare di essere più o meno belli (bravi, intelligenti) degli altri, senza confronti.
Ho visto bambini barare ad una gara di corsa a scuola, tirare i compagni dal cappuccio pur di passare avanti, fare sgambetti per farli cadere e vincere. Ma vincere cosa? Nulla di concreto. Non ci sono premi fisici. C’è un riconoscimento, per lo più personale, un darsi maggior valore se arrivo per primo alla fine del campo. Probabilmente mi è stato insegnato che solo i migliori vincono, che solo i migliori vanno avanti e che ci devo arrivare, altrimenti non sono nessuno. Non sono più la principessa di papà, l’ometto della mamma. Se non sono sempre bella, se non arrivo sempre primo in qualunque gara, che sia fisica o cognitiva, io perdo il mio valore, perdo il mio porto sicuro.
Vi sono mai capitati i bambini che dicono sempre la cosa giusta? I bambini sempre buoni, quelli che non hanno mai una frase sbagliata tra le labbra, quelli che abbracciano e baciano tutti, quelli che “non danno fastidio”, quelli che non mostrano mai “aggressività” di nessun tipo? Ecco, anche loro sono quelli che DEVONO essere questa versione di sé, per ottenere l’amore costante.
Ognuno di noi ha dentro di sé un lato di luce ed un lato di ombra. E’ la legge degli opposti e non potrebbe essere diversamente. Quando nasce un bambino, i genitori lo inondano di dolci parole, di baci, di carezze. A mano a mano che cresce e si conoscono, il genitore attua meccanismi più o meno sani che incidono sullo sviluppo psicofisico del bambino. L’inondazione d’amore iniziale comincia a trovare degli spazi di vuoto, nel quale il bambino, attraverso le sue risposte, tenta di riempire. La risposta al “sei il migliore del mondo” potrebbe essere una delle due descritte sopra:
-Devo rimanere il migliore ad ogni costo altrimenti non mi amerà più
-Resto buono, accondiscendente ed eseguo così continuerà ad amarmi
In epoca adulta questa versione di sé, qualunque delle due strade venga intrapresa, porterà relazioni insane, squilibrate e fortemente distruttive. Una donna o un uomo che debbano costantemente fare a patti con le proprie debolezze per mascherarle o con le proprie frustrazioni per tenerle in stand-by all’interno di sé, non potranno che essere persone gravemente compromesse nella propria autostima, con relazioni superficiali, portate alla menzogna e/o al vittimismo. Mostrerò al mondo solo la versione che mi conviene di più per ottenere e mantenere l’amore che mi stanno offrendo. E’ l’epoca degli Influencer dopotutto, dove l’unica versione proposta è quella di una donna o un uomo dannatamente felici, perennemente al top della loro forma fisica e mentale, senza mai una debolezza, con una vita invidiabile, che lavorano poco e guadagnano tanto. Una vita tra i migliori, nella quale devi sgomitare per essere sempre la numero uno nella top ten di categoria. Una vita piena di tag, di followers che ti ammirano e bramano essere come te. Ma come si sentiranno quando capiranno di non esserlo? La loro vita, la loro persona, il loro guardaroba, le loro amicizie, le vacanze, gli sembreranno sempre di serie B. Gli influencer però sono uno status symbol esterno, noi siamo i primi influencer dei nostri figli e abbiamo il dovere di mettere l’apparenza in panchina e l’Essere in campo, non viceversa.
E’ necessario un cambio di rotta importante al fine di liberare noi stessi e i nostri figli da meccanismi di svalorizzazione verso di sé e verso gli altri, di false credenze di una vita sempre al top . E’ tempo di dare importanza all’essenza, ai talenti di ognuno, diversi per natura ma non per questo con più o meno valore; di mostrare le debolezze e le risalite, le fatiche, i successi e i fallimenti, gli errori e i rimedi. La vita è fatta di mille sfumature, è fondamentale vederle tutte per poter compiere un grande viaggio. Non illudiamo i nostri figli dicendogli che sono i migliori dell’universo , diciamogli che sono unici e che li amiamo incondizionatamente, che sono meravigliose creature e che la vita è fatta di tanti ingredienti, alcuni dolci, alcuni salati, amari o speziati, acidi o aspri e che è bella proprio per questo. Diciamogli di non credere a chi dice di non cadere mai, probabilmente conosce abissi così profondi che non pensiamo nemmeno che possano esistere; diciamogli di non credere a quello che vedono, ma a ciò che sentono nel cuore, sulla pelle… diciamogli che tutto ciò che HANNO non fa tutto ciò che SONO e che questo vale per tutti.
Non siate genitori RE e REGINE di bambini PRINCIPI e PRINCIPESSE, siate PADRI E MADRI di bambini UNICI.