DOP: Disturbo Oppositivo Provocatorio, Denominazione di Origine Protetta

“Con il termine “Disturbi del comportamento” ci riferiamo alla condizione di bambini che mostrano comportamenti aggressivi, difficoltà a regolare le proprie emozioni e scarso rispetto per le regole date dagli insegnanti e dai genitori. Queste caratteristiche devono essere presenti quasi tutti i giorni per almeno 6 mesi e solitamente si presentano sia nell’ambito familiare, sia nell’ambito scolastico”
“Il Disturbo oppositivo Provocatorio si configura come un pattern di umore irritabile e collerico con comportamenti provocatori, polemici, vendicativi e sfidanti”

Dal libro Dop disturbo oppositivo provocatorio cosa fare (e non), guida rapida per insegnanti


Sono sempre di più i bambini che sviluppano disturbi del comportamento fin dai primi anni di vita e sempre più importanti gli interventi che vengono effettuati su e con questi bambini per far sì che possano integrarsi nella società in una modalità di relazione serena ed efficace.
Le domande da porsi sono tante se si osservano i dati. Eccone alcune:
-Come mai questi bambini adottano tali comportamenti?
-La diagnosi è un valore aggiunto per il sostegno del bambino o un’etichetta che permette la rassegnazione senza senso di colpa?
-Cosa si può fare di davvero efficace per sostenere i bambini, le famiglie e gli insegnanti?

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I dubbi e le difficoltà sono davvero molteplici, le strategie possono essere diverse in base all’osservazione del comportamento del bambino, del contesto familiare, dell’attivazione del disturbo e delle modalità di espressione, ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti comuni nel disturbo oppositivo provocatorio.


Tipicamente ci sono fasi di sviluppo che mostrano l’opposizione come caratteristica di base e queste hanno la funzione di aiutare il bambino nella costruzione della propria identità. I bambini che permangono, incastrati, in queste fasi di sviluppo sono bambini sofferenti.

Bambini che portano un peso più grande di loro, di cui non comprendono l’entità e che non gli permette di regolare l’emotività. Tutto è amplificato: il peso emotivo, le reazioni del bambino e la visione delle reazioni altrui.
Questa distorsione porta il bambino all’interno di un loop da cui non riesce ad uscire, anche perché spesso si manifesta in età talmente precoce, da non aver ancora sviluppato del tutto la corteccia  prefrontale , colei che ci permette di revisionare la realtà, di regolare le reazioni emotive e di comprendere gli aspetti sociali.  Spetta all’adulto dunque comprendere, analizzare e trovare una modalità di relazione e di gestione del bambino con DOP.

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La diagnosi dovrebbe essere un indizio per l’insegnante, che lo spinge in una direzione piuttosto che nell’altra, rispetto al comportamento da tenere a propria volta con il bambino; uno strumento utile per la comprensione di alcuni atteggiamenti del bambino. Molto spesso, invece, viene interpretata come un’etichetta sull’intera identità del bambino, che come tale va a bloccare ogni tentativo di “recupero”, di relazione efficace, determinando una sorta di rassegnazione che elude però il senso di colpa, perché “non sono io che ho fallito, è il bambino che è sbagliato”.
Se si parte dal presupposto che un bambino con Disturbi comportamentali sia irrecuperabile, non ci poniamo nella direzione giusta per poter anche solo fare un passo su una strada non ancora vagliata. Rimaniamo incastrati davanti al nostro muro, senza vedere che accanto c’è una porta. Bisogna trovare la chiave, certo, ma la porta c’è.
Se partiamo invece dalla base e cioè dal motivo per cui questi bambini si comportano così, credendo fortemente che nessun bambino NASCE così, nessun bambino nasce “cattivo”, nessun bambino È il comportamento che sta attuando, iniziamo con il piede giusto.
Le motivazioni possono essere molteplici e svariate, ma la piattaforma su cui sono costruite, è la medesima: la sofferenza.
Il bambino con DOP pensa di essere sbagliato, di vivere in mezzo a persone che non lo apprezzano; ha bisogno di essere visto, riconosciuto, apprezzato.  È necessario fargli notare i comportamenti positivi che attua, in modo da rinforzare l’autostima e la risposta “adeguata” in una determinata situazione.


La regolazione dell’emotività è l’aspetto più complesso nei bambini con DOP, perché l’onda emotiva li travolge in modo così totalizzante, da non mostrargli altro.

Circondato dalla sua emozione, il bambino non vede l’altro e non è in grado di percepirne la reazione emotiva. È necessario mettere a sua disposizione degli strumenti che gli consentano di apprendere una modalità di gestione dell’emozione soprattutto nella fase acuta, in modo da non inficiare le relazioni e non accrescere la sua sensazione di inadeguatezza.
Possono esserci una moltitudine di stratagemmi da attuare, sulla base dell’osservazione del singolo bambino, che accompagna ogni giorno l’adulto verso la conoscenza dei suoi schemi di comportamento. Ci sarà il bambino che necessiterà di un approccio pratico- fisico per incanalare l’esplosione emotiva, o il bambino con cui bisognerà trovare una modalità diversa, magari grafico-pittorica, per dar voce a ciò che sta provando. L’osservazione e la capacità di ascolto profondo, anche del non verbale, saranno le armi vincenti per la gestione del comportamento oppositivo provocatorio.

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DOP, Denominazione di Origine Protetta: indica un prodotto di alta qualità, la cui zona di origine e le tradizioni utilizzate tutt’ora per crearlo lo rendono così peculiare da doverlo salvaguardare da contraffazioni.
Iniziamo a pensare al bambino con DOP, con questa determinazione della sigla e cambiando la nostra visione, pensandolo come un essere unico e da salvaguardare, saremo in grado di amarlo, sostenerlo e potenziare i suoi talenti, senza definirlo per le sole difficoltà.

COLTIVARE I SENTIMENTI (per essere liberi)

Molto si trova, al giorno d’oggi, nella psicologia, nell’educazione, nelle neuroscienze, nella filosofia e in molte altre discipline, sul tema delle emozioni, come riconoscerle, come ‘chiamarle’, varie strategie per gestirle.

Le emozioni sono uno strumento importante per orientare la psiche nel mondo, rispondendo in modo automatico, efficace (e a volte efficiente) agli stimoli esterni.

Sono un “fatto” terreno, meraviglioso e… passeggero (secondo la neurologia moderna infatti la durata media di un emozione nel nostro cervello dura circa 90 secondi)

Ci sono persone e situazioni che emozionano, l’ innamoramento è il frutto di una serie di emozioni, così come il terrore.

Si diventa dipendenti persino da quelle reazioni chimiche che le emozioni scatenano ( endorfine, dopamina, serotonina, adrenalina, ossitocina…) quindi siamo alla ricerca di quegli stimoli in grado di risvegliarle, tra questi, il dolore ma anche l’ eccitazione.

Gli eccessi ,a volte, in una polarità o nell’ altra.

Il sentimento è anima, include e trascende l’ emozione.

Lo Stato di innamoramento che perdura nel tempo, che non passa quindi con la routine, con le abitudini o l’ assuefazione, è un sentimento.

La gioia come sentimento è diversa dall’ eccitamento gioioso, è quiete estatica dove tutte le sensazioni sono esaltate.

La calma è un sentimento, ma anche il rancore.

L’ amore nella sua espressione più alta, che sia nella coppia o in altre manifestazioni, è quindi molto più che un insieme di emozioni.

L’ amore come sentimento è in grado di affrontare l’ impermanenza dell’ emozione e rendere duraturo quello stato di grazia dell’ innamoramento.

Non è scontato nè banale. È impegno, attenzione a se stessi, all’ altro, al mondo circostante.

È vigilanza.

Per il sentimento è necessario molto impegno (e autoconoscenza).

L’ emozione è più immediata, facile, solo che che ad un certo punto…esaurisce.

Abbiamo visto che di per sè le emozioni sono un “flash” che ci attraversa velocemente , cosa le rende allora così durature invece? come mai ci sentiamo arrabbiati per giorni o entusiasti o impauriti magari anche per anni?

Siamo noi che tratteniamo l’ emozione, vi agganciamo pensieri, ricordi, creiamo abitudini e convinzioni che ci rendono più ricettivi ad alcune emozioni piuttoste che altre…

L’ emozione è merce di consumo, oramai anche le industria del marketing e della pubblicità conoscono quali tasti toccare per ingenerare in noi una determinata emozione e dunque una determinata azione ; la stessa cosa accade nel mondo dell’arte.

Il sentimento ha bisogno di essere alimentato, ed in quest’ epoca dove vige il “tutto e subito” si preferisce spesso il brivido dell’emozione, immediata e fugace.

Io credo ancora che non ci sia cosa più bella del coltivare il sentire, rammendare, recuperare, sanare, portare cura nelle zone dolenti e nutrimento a quelle armoniose ; coltivare il sentimento è fare Anima.

A volte è faticoso farlo in modo consapevole, faticoso come lavorare la terra, una fatica, però, ripagata nel tempo dal frutto.

Il processo di riconoscimento dell’emozione e la sua liberazione , la sua integrazione al sentimento, ci permette un grado di azione libera (autentica) più ampio. Le nostre scelte non sono più, a quel punto, dettate dall’ emotività del momento, ma diventano scelte mature, che seguono un sentimento appunto, un emotività cosciente , l’unione di percezione, emozione, capacità di giudizio e coscienza.

Allora l’invito è, si, nominare e riconoscere le emozioni ma anche educarci ai sentimenti in modo attivo e il più possibile lucido, affinchè le nostre scelte siano scelte dell’ anima e non dell’ impulso.

Quando cuore, corpo, mente e pancia sono allineati, quando siamo presenti e coerenti con le parti di noi , più autentica diventa la nostra azione e presenza nel mondo.

AMBIENTAMENTO, un momento delicato per bambini e adulti.

Molti di noi in questo periodo si trovano, o si troveranno, ad attraversare questa fase: l’ ambientamento è, propriamente nel suo termine ,l’adattamento ad un ambiente diverso dal conosciuto, per il bambino, per il genitore, e anche per l’ educatore che si trova a relazionarsi con persone nuove che hanno differenti modi di interagire.

Questo processo delicato pone le sue fondamenta sulla fiducia reciproca, tra adulti, tra adulto e bambino e nel bambino stesso. E’ un momento che richiede tempo, delicatezza, comprensione, ritualità e calma.

Ecco alcuni suggerimenti utili per un buon ambientamento:

  • Prepara il bambino alla novità, spiegagli dove andrete, cosa farete, inizia a raccontare quello che accadrà in modo che lui o lei possano avere il tempo e lo spazio di manifestare domande, dubbi o paure e voi di accogliere e rispondere.
  • Prepara te stesso al lasciare andare, chiediti se hai fiducia nelle persone che stai per incontrare, nel luogo che stai per conoscere meglio, a volte il distacco può essere più difficoltoso per il genitore che per il bambino. Può essere utile dire a se stessi che il nostro bambino starà bene, sarà trattato con delicatezza e rispetto e non un briciolo di amore verrà meno tra voi, anche se vi state separando per alcune ore. Potresti sentirti in colpa, potresti avere paura, parla delle tue emozioni, di cosa provi con gli educatori, sono pronti ad accoglierti, anche per te è un momento delicato. Create alleanze con loro sulle basi del dialogo e dello scambio sincero.
  • I bambini sono tutti diversi ,quindi lasciate stare confronti, anche solo con i fratelli, ogni bambino reagisce al distacco in modo differente in differenti momenti, che sia un rientro dalle vacanze, che sia un rientro da una malattia o una nuova esperienza, le reazioni possono cambiare in base allo stato emotivo del momento, in base allo stato emotivo del genitore, e molti altri fattori. La soluzione migliore è permettersi di stare , di accogliere quello che è in quel momento. Alcuni bambini si ambientano facilmente, in modo semplice e fluido, per poi essere più richiedenti a casa. Altri piangono disperatamente al momento del distacco per smettere nell’ istante stesso in cui il genitore chiude la porta dietro di se. Altri ancora rielaborano il distacco a distanza di giorni o mesi. Tutto è normale, tutto è possibile. E’ un processo, a volte faticoso, a volte frustrante, a volte più fluido.
  • Saluta SEMPRE il bambino prima di andare, rassicuralo del tuo ritorno, o preparalo per chi verrà a riprenderlo, questo rafforza il vostro legame di fiducia e col tempo vedrà che nessuno lo sta abbandonando. A volte volte potresti pensare che , se vai via di nascosto in un momento in cui lui gioca ed è distratto si possa evitare la difficoltà, ma così non è e anzi, questa modalità può minare il vostro rapporto.
  • Mantieni la posizione. Una volta salutato il bambino sarebbe meglio evitare di tornare, prolugare i saluti con tira e molla, riprendere il processo da capo, si rischia di interrompere quello precedente e creare una lunga agonia oltre a trasmettere al bambino ansia e indecisione. Può essere molto utile inventare un vostro personalissimo rituale di saluto così il bambino sà che da quel momento vi saluterete per rivedervi all’ uscita.
  • Ciò che tu provi lo sente. Per questo più noi rimaniamo calmi e fiduciosi, più sarà semplice per il bambino connettersi a quella calma e fiducia.
  • Durante l’ ambientamento, quando il bambino ti vedrà tornare potrebbe correrti incontro felice, o arrabbiato o piangendo, preparati ad accogliere la sua emotività. Potrebbe ever bisogno di più contatto del solito, potrebbe chiederti di dormire abbracciato, di essere imboccato, e varie forme di cura, anche non più “necessarie”, ma che lo diventano in quel momento. Piano piano prenderete il ritmo, anche la scuola diventerà un suo porto sicuro, vedrà che si torna sempre a casa, acquisirà fiducia e ritroverete le abitudini di sempre.
  • Per le educatrici e gli educatori, vale tutto il precedente, lascia andare l’aspettativa e l’ansia del dover fare e dover sembrare. Una volta superato il momento del distacco il bambino dovrà prendere le misure, studiare gli ambienti, le persone intorno a lui. Non è necessario rendersi simpatici, o accelerare stimoli già in soprabbondanza, perchè si fidi di te. Prova a sederti e osservare, in attesa di un segnale che il bambino stesso ti darà, vedrai che sarà lui a indicarti il modo, il momento giusto, diverso per ognuno, in cui vuole che lo si avvicini. Capirai tempi e momenti. Costruire un rapporto di fiducia da zero richiede tempo, calma e accoglienza.

Come avrai notato Accoglienza è una parola che si ripete spesso nella durata di questo processo. Accogliere le tue emozioni, quelle del tue bambino, accogliere tempi e modalità…accoglienza e fiducia sono gli strumenti essenziali per questa fase (e molte altre).

Per curiosità e approfondimenti potete scriverci alla mail apiccolipassisicresce@gmail.com

Buon ambientamento !

Mamma single: tra gioie e dolori

Essere una mamma è già un arduo compito, ma essere una mamma single ancora di più. La sera quando si rientra a casa non si può condividere la propria giornata sgravando la mente dai troppi pensieri, anzi… ci si ritrova a dover pensare ai problemi dei figli e, nel peggiore dei casi, anche a tentare di trovare un dialogo perduto con il padre/ex compagno. E’ difficile tenere insieme tutto quanto: figli, lavoro, casa, economia, rapporti con l’ex e perfino se stessi. Si cade alle volte,ma non ci si può permettere di attendere qualcuno o qualcosa che ci aiuti a rialzarci, nè possiamo farlo fare ai nostri figli. Dobbiamo farlo noi e velocemente anche, perchè questo è ciò che ci si aspetta, questo è ciò di cui gli altri hanno bisogno. Ma voi, care mamme single, di che cosa avete bisogno? Inizialmente quando i bambini vanno dal papà si sente un vuoto che pare incolmabile, si ha troppo tempo per pensare ed arrivano i deliri più bui. Quando la situazione si assesta e si ha modo di riflettere serenamente sul tempo in solitaria, emergono impegni vari, che svagano, impediscono la caduta. Ma sei sicura che sia questo ciò di cui necessiti? Non lo sai. Spesso non lo sai nemmeno tu. Alle volte vorresti spegnere la mente e lasciare che tutto vada come deve andare, senza fare la tua parte per far girare la ruota. Ti domandi cosa succederebbe, se tutto continuerebbe comunque a ruotare. Certo che continuerebbe. Si sopravvive e si va avanti. Per qualcuno però, senza di te, sarebbe mera sopravvivenza.

Lotta cara mamma. Con le bollette, il cuore ballerino, le incertezze, l’ex, i figli, la vita stessa. Lotta per il tuo posto nel mondo, per ottenere il rispetto della gente che ti guarda con occhi giudicanti, spesso di scherno. Esistono, anche se raramente, sguardi complici, comprensivi, addirittura di elogio. Che ti siano di sostegno, mamma. Sei una grande mamma! I tuoi figli lo sanno, anche quando sembra di no. Nel tempo, con la crescenza, lo capiranno ciò che sei, quanto amore nutri e quanto di te hai messo in gioco per loro.

Ci sono o ci saranno momenti in cui penserai: ma chi me l’ha fatto fare. Saranno quelli i momenti in cui arriveranno e ti diranno “mamma, ti voglio bene!”Il loro sguardo guarisce ogni ferita, riporta la pace dopo ogni litigio. Tu ci sei. Loro ci sono.

Ci sono periodi di incertezze, di paure che devi tenerti dentro. Lo so cara mamma, non dubitare di essere sola. Cerca rifugio. Un figlio ammalato quando sei single vuol dire preoccupazione amorevole, problemi organizzativi, ansia da tenere a freno. Perchè restare sola? Le donne dovrebbero sostenersi a vicenda, come sorelle. I figli creano preoccupazioni, ma ci sono attimi, piccoli e infiniti, in cui li guardi e sai, con assoluta certezza, che non potevi fare nulla di meglio. E’ per tutti questi attimi che ogni mamma si rialza, che continua la sua lotta, che riemerge dalle ceneri. C’è una cosa però che hai paura di permetterti ancora: l’errore. Temi di incontrare una persona e che questa possa nuovamente colpirti e di riflesso i tuoi figli. Ma cosa sarebbe una vita senza amore? E’ questo che vuoi passare ai tuoi cuccioli? La paura di amare la persona sbagliata? Se li guardi sai già la risposta, perchè loro sono l’amore più grande e senza una forma d’amore non si può vivere. E dunque mamma, non smettere di essere Donna, di sbagliare, di soffrire, di gioire ancora. Sii la parte migliore di te e quando non ci riesci, perdonati. Usa per te la stessa clemenza con cui guardi i tuoi bambini. Te ne saranno grati.

E lo so cara mamma che a volte sei stanca, sfinita, sfibrata, piena di sensi di colpa. Che ti arrabbi, piangi e ti incolpi per non essere la mamma perfetta. Ti destreggi tra mille faccende e il tempo scorre veloce, non basta mai. Lo so che a volte hai paura di non essere abbastanza. Abbastanza brava, abbastanza forte, abbastanza indulgente, severa, dolce, spiritosa, fashion, gentile, giusta, abile, sportiva o chissà cos’altro. Non ti nascondere. Mostra le tue emozioni. Anche quelle più scomode. Lo so che un giorno hai guardato tuo figlio o tua figlia e hai pensato: “non lo riconosco più”. Un altro giorno però ti ha stupito con lo stesso effetto grandioso, facendo un gesto che riconosci come tuo, un gesto che hai fatto mille volte per insegnargli che è così che si fa. E così lo guardi e spero che ti sarai congratulata con te stessa perchè è anche merito tuo.

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Ti invito ad annotare come ti senti, nei giorni buoni e nei giorni meno buoni, quando tuo figlio fa qualcosa di inaspettato e quando invece ritrovi lo spirito che conosci; quando ti prendi cura di te, quando ti trascuri, quando ti concedi un’opportunità e quando ti permetti di sdraiarti sul divano e riposarti. Ti invito poi a non restare sola quando ti senti sola, a chiedere aiuto, a sostenerti e a sostenere con la tua esperienza altre mamme come te. Ti invito a scrivermi, all’indirizzo di posta elettronica apiccolipassisicresce@gmail.com e a condividere con me la tua esperienza se ne avverti la necessità. Ne potrebbe nascere una rubrica o ancor meglio un gruppo di sostegno presente sul territorio. Tu ci sei, io ci sono, è già un inizio.

Ora siediti se puoi, guardati e sii fiera di ciò che sei.

EDUCARE: UNA MISSIONE POSSIBILE SE PARTI DA TE

Educare significa tirare fuori. La missione dunque di un educatore e di una educatrice è quella di portare alla luce la vera essenza di ogni essere umano che incrocia il suo cammino per un certo periodo di tempo.
Oltre alla missione primordiale però, si ha un COMPITO che abbraccia e accompagna lo scopo: essere un esempio. L’ambiente in cui si vive sia esso fisico che psichico influenza fortissimamente la formazione e lo sviluppo dell’individuo. Per questo non basta prestare attenzione alla forma con cui presento l’ambiente al bambino, ma è l’essenza che ne fa la differenza. Un’insegnante o un educatore che ha come obiettivo primario “insegnare” dei contenuti, perderà la parte empatica di sé e trasmetterà ansia, rabbia, paura.

È necessario dunque porre sempre un accento sul proprio sentire, porsi domande (che cosa sto trasmettendo? Qual è il mio obiettivo? Lo sto mostrando nel modo più comprensibile? ) , respirare a fondo e guardare sempre il bambino come un essere in formazione, come un individuo unico e dal valore inestimabile.

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Posso essere un ottimo insegnante, ma un pessimo educatore. È indispensabile però che non sia così. Al giorno d’oggi i bambini si trovano immersi in realtà scolastiche che deviano  il corso del loro sviluppo. Parti di essi vengono tagliate, estirpate, condannate così fortemente e così lungamente che possono solo morire.  Per educare gli altri bisogna prima educare se stessi. Amarsi, accettarsi, elevarsi. Fare i conti con i propri fantasmi, le proprie paure da affrontare, le proprie emozioni da gestire . Se dico ai bambini come gestire la rabbia loro ascolteranno e proveranno a mettere in pratica, ma se quando mi arrabbio lancio grosse parole, minaccio e vado via, loro saranno portati ad esprimerla in questo modo. L’esempio è la formula di insegnamento più immediata, più forte, quella che verrà ricordata.
Si ha dunque un obbligo morale nella formazione non solo curricolare di sé, ma soprattutto spirituale.
La gestione di emozioni forti può essere difficoltosa, soprattutto dinnanzi ad un “pubblico” sensibile alle grandi manifestazioni.
Spesso gli adulti urlano frasi minacciose ai bambini tipo: ” Guarda che se continui così non farai l’intervallo” o “Lo dico a mamma e papà” o “Ti faccio bocciare/espellere” .Sono tutte dimostrazioni della presa di posizione volta a far comprendere al bambino o alla bambina , ragazzo/a , che siamo noi i più forti, che noi possiamo disporre di loro. Ma è questo il messaggio che vogliamo passare? È questo il nostro obiettivo? O dietro c’è una difficoltà di gestione del nostro sentire?

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Come posso agire affinché io riesca ad esprimere chiaramente il mio obiettivo?
Minare l’autostima e la capacità di discernere autonomamente del bambino, non ci porterà grandi risultati, anzi, rischieremo di deviare lo sviluppo del bambino e di creare in lui dei grandissimi dubbi sulle sue reali capacità. Avremo così un individuo insicuro e incapace di pensare autonomamente, quindi ancora più problematico da gestire. Si rafforzerà invece chi abbiamo tentato invano di “piegare”, perché acquisirà la sicurezza del fatto che le nostre minacce o sono inconcludenti, o era proprio lì che voleva portarci. Si evince dunque quanto l’esempio possa aiutare o distruggere un essere umano e quanto peso abbia il nostro mestiere sia sulla nostra coscienza che sulla comunità intera.
Non si può pensare di infilare contenuti nelle teste se non si passa dal cuore. Il nostro e il loro. Bisogna trovare un contatto e poi non fare, ma ESSERE ciò che può aiutarli a trovare la loro essenza.

Il primo passo è dunque –PORSI DOMANDE: Cosa vorrei ottenere? Quale messaggio vorrei trasmettere? Come sto portando avanti il mio obiettivo? Il bambino/ragazzo ha un ruolo attivo nella soluzione del problema?

-FORMULARE DELLE POSSIBILI ALTERNATIVE: Posso agire in modo diverso? Quali altre soluzioni possono esserci?

PASSARE ATTRAVERSO LA CONCRETEZZA: Generalmente i processi più incisivi sono quelli che passano attraverso il corpo. Studiare dei laboratori, degli approcci pratici, in cui sia coinvolto il corpo e le sensazioni che ci trasmette, riflettere sul processo svolto e verificare l’effetto, sono modalità efficaci di intervento per vivere le esperienze e non solo sentirne parlare.

CAMBIARE IL PROPRIO PUNTO DI VISTA: Ci sono sempre almeno due modi di vedere la stessa situazione. E’ necessario indossare occhiali nuovi, cambiare posto, per poter osservare da un altro punto di vista e comprendere così la visione di nuove possibilità.

METTERSI IN GIOCO: Invito gli educatori, le educatrici e gli insegnanti tutti a riflettere nuovamente sul tema della formazione spirituale, intesa come capacità di comprensione di sé e la gestione delle proprie emozioni , la consapevolezza dei propri talenti e delle difficoltà, affinché si possa essere equilibrati nello svolgere il delicato compito che abbiamo scelto: aiutare la vita. 

La spinta emozionale che ci porta a diventare educatori, va alimentata ogni giorno nella consapevolezza che non si è mai arrivati. La formazione DEVE essere continua, da un punto di vista curricolare, ma anche emozionale. Abbiamo tra le mani esseri in formazione, il futuro dell’umanità e dobbiamo averne cura. Quando mi sento stanca, affaticata da problemi di varia natura, da situazioni delicate sul lavoro o nella vita privata, temo di voltare lo sguardo e non vedere davvero il bambino, di perdermi per un attimo. Allora richiamo l’attenzione dei bambini e dico loro che ho bisogno di un abbraccio di gruppo (per chi se la sente). Tutte quelle piccole braccia che mi stringono, quegli occhietti vispi che mi guardano felici, quei cuori che battono all’unisono, mi permettono di riconnettermi con la parte più profonda di me e di rientrare nel loro fascio d’amore e gioia di cui ogni giorno possiamo nutrirci. Mi ricordano la bellezza dell’animo bambino, la schiettezza, la semplicità. Ritorno al punto di partenza, rigenerata e pronta per osservare tutta la loro meravigliosa essenza.

Manuela Griso

La campanella silenziosa della fine della scuola

E’ finita la scuola. Quella digitale,con i visi piatti dietro allo schermo, dove non senti i profumi e gli odori dei tuoi compagni di avventura; quella dove un discorso importante viene interrotto dalla linea scadente; quella dove non puoi chiedere aiuto al compagno; dove la maestra fa l’ “interrogazione” di gruppo perchè si sente male al pensiero di interrogare un bambino senza poterlo guardare negli occhi, senza sentire sulla pelle se ha bisogno di più tempo per rispondere o di un piccolo incipit. E’ finita la scuola e i bambini non hanno potuto salutarsi, salutare le loro insegnanti, quelle persone che li hanno accompagnati per il loro ciclo di studi e di vita. E’ finita la scuola, senza la campanella che suona lungamente per annunciarne la venuta; senza i canti di fine anno,con la felicità dei bambini per l’arrivo delle vacanze;è finita senza lo spettacolo, la consegna del diploma, i pianti.


Si è vissuta la privazione: della libertà, dei diritti, del contatto umano, della cultura e del lavoro.
Si è vissuta la paura: della malattia, della ripresa della vita “normale”, del contatto con l’altro, dei burocrati fanatici, della perdita del lavoro, del futuro incerto.
Si è vissuta la frustrazione, la rabbia e l’impotenza: per non poter fare altro se non stare in casa, per non poter far parte di una soluzione “attiva”; per non poter cambiare le cose.
Si è vissuta la speranza: che tutto potesse finire presto, che la malattia non ci colpisse, che la vita potesse tornare a scorrere, che il lavoro potesse ricominciare, che i nostri figli potessero tornare a scuola.
Si è vissuta l’attesa: alle volte con gratitudine per i tempi lenti, famigliari,quelli che servono per la lievitazione; altre volte con incertezza, sofferenza e insofferenza.
Per noi adulti, promotori della fretta, della produzione, dell’affermazione, stare fermi ad aspettare senza certezze, senza tempi definiti, senza soluzioni alla mano, è stato un tempo duro, in cui tutto ha cambiato forma.
Per i nostri figli, poi,non eravamo più solo mamme e papà, eravamo maestri. E siamo caduti, nelle nostre fragilità culturali. Chi in matematica, chi in italiano, in storia o in tecnica. Siamo caduti di fianco ai nostri figli e abbiamo cercato risposte. Su internet, tramite amici, tra moglie e marito, o chiedendo direttamente alla maestra via chat. Siamo caduti, ma ci siamo rialzati. Avevamo un bastone forte a sorreggerci: i nostri figli.
Loro che hanno vissuto tutte le nostre emozioni, anche quelle non palesate a parole o in atteggiamenti chiari; che hanno sentito, nella carne, tutto ciò che abbiamo provato; che erano invasi dalle loro molteplici sensazioni,ci hanno sorretto. Si sono adattati, sono stati pazienti, si sono ridimensionati e hanno continuato a portare il sorriso per la maggior parte del tempo.
Ma cosa hanno vissuto questi bambini, queste bambine, questi ragazzi e queste ragazze?
Hanno sentito caos.

A tratti pervasi dalla felicità di stare a casa con mamma e papà, a cucinare, dipingere pareti, giocare insieme. Dirompente però la sensazione che questa non fosse la normalità e che venisse anche mal-accettata dai genitori, che portasse sconforto, paura, incertezza. L’avanzare dei giorni di lockdown ci ha portati a parlare con i nostri bambini, a confrontarci, a mostrare i due lati della medaglia. Loro stessi portavano insofferenza, litigi, il desiderio di tornare a scuola.


E come lo si spiega ai bambini che dal 4 maggio tutto, piano piano, sta tornando come lo conoscevamo prima della pandemia, tranne la scuola? Che si può andare al ristorante, che ci si può abbracciare sul campo da calcio,ma che loro non hanno diritto di farlo con gli amichetti? Come lo si spiega ai bambini che gli adulti possono lavorare in 20-30 tutti insieme, mentre loro dovranno essere suddivisi in piccoli gruppi?
Non ho risposte per queste domande, perchè sono le stesse che mi pongo dal 4 maggio senza trovare una logica sana per rispondere a tutto questo.
L’unica cosa che è finita davvero con la pandemia è la Scuola. Che questo sia però motivo di ri-evoluzione, di re-invenzione di un’intero sistema. Sistema che si adatterà alle esigenze degli alunni, non viceversa. Che si utilizzi questa FINE come una ripartenza verso nuovi orizzonti. Io ci credo in una NUOVA SCUOLA. Credo che ci siano persone, professionisti, che hanno già compiuto grandi passi negli anni addietro, verso una direzione diversa, più naturale. Che hanno improntato il loro insegnamento sulla relazione con l’alunno e non solo con nozioni sterili.

Cogliamo questa opportunità e costruiamo un nuovo modello di scuola.
Che sia ricca di contatti umani, di relazioni, di gioco, di Natura, di apprendimento curioso.


Se i bambini hanno subìto il peggio, ora hanno diritto al meglio che possiamo immaginare.
E’ finita la scuola, ma possiamo e dobbiamo ricostruirla. Per loro, per noi, per l’umanità intera.

Manuela Griso

Litigare Bene: tecniche pratiche per aiutare i bambini nella gestione del conflitto

Una delle capacità che è ritenuta fondamentale nella società attuale è l’intelligenza emotiva. Essa si sviluppa attraverso un allenamento in più direzioni:

1.Autocoscienza:Come mi sento io? Che cosa provo? Riconoscere le proprie sensazioni ed emozioni, avere un’ alfabetizzazione rispetto a ciò che si prova, permette di gettare le basi su quella che è l’educazione emozionale.

2. Autoregolazione: capacità di gestire le proprie emozioni

3.Automotivazione: capacità di perseguire un obiettivo

4. EMPATIA: capacità di metterci nei panni dell’altro

5. ABILITA’ SOCIALI intese come INTELLIGENZA SOCIALE

Tutte queste aree di competenze che fanno parte dell’intelligenza emotiva, vanno allenate e supportate, affinchè si possa imparare a “litigare bene”, come dice il pedagogista Daniele Novara.

A tal proposito, quando i bambini litigano, è bene distinguere il ruolo dell’adulto e dividere gli educatori/insegnanti dai genitori, per la diversità di relazione e reazione che questo processo innesca. Ma, rimanendo per ora soltanto nel ruolo dell’adulto, possiamo dire senza indugio che, come sempre nella pedagogia montessoriana a noi molto cara, egli dovrebbe rimanere quanto più nell’ombra, osservare e non intervenire. Questo compito molto arduo, se portato a termine, permette ai bambini di apprendere e confrontarsi con :

1.Il principio di realtà : adattare i propri desideri al contesto esterno;

2. Il decentramento emotivo e cognitivo: esisto io con le mie emozioni e le mie soluzioni, ma anche l’altro con le sue;

3. Il pensiero divergente: allenarsi a pensare soluzioni nuove e creative, che possano mediare tra i desideri miei e dell’altro.

L’intervento dell’adulto non favorirebbe questi processi, in quanto tenderebbe a far terminare il conflitto nell’immediato e a fornire soluzioni preconfezionate, spesso lontane da quelle che penserebbero i bambini.

Analizzando la situazione da genitore, sarà capitato a tutti voi, di dover gestire un litigio tra bambini e generalmente si sfocia in tre reazioni di base:

  • Parteggiare per l’uno o per l’altro (rivestendo il ruolo di salvatore per colui che è la vittima in quel momento)
  • Sgridare o punire (eccoci nel ruolo del carnefice a discapito di colui che lo ha rivestito finora)
  • Urlare

Questo ci porta sicuramente a risolvere il conflitto in poco tempo, ristabilendo l’egemonia del potere adulto, ma cosa si portano a casa i bambini?

-Paura

-Senso di inadeguatezza

-Rabbia

– A volte anche senso di colpa per aver fatto arrabbiare l’adulto

-Un congelamento delle proprie emozioni

Partendo dal presupposto che i bambini apprendono anche per imitazione, capiamo bene quanto questi atteggiamenti possano influire sulla loro capacità di “litigare bene”. Per cui: Come reagisco io ad un problema? Sono un esempio per il mio bambino?

L’adulto,che viene chiamato in causa in un litigio tra bambini, ha il delicato compito di non ergersi a giudice, perchè innescherebbe il meccanismo del triangolo (vittima, carnefice, salvatore, come scritto precedentemente) il quale innesca degli automatismi inconsci che tendiamo poi a riprodurre nella nostra vita:

-esisto solo se prevarico gli altri (carnefice)

-esisto solo se manifesto la mia sofferenza (vittima)

-sono responsabile per gli altri, sono indispensabile (salvatore)

ma di fornire strumenti utili affinchè i bambini si ascoltino e mettano in atto le competenze emozionali acquisite. Quali sono questi strumenti?

A litigio iniziato:

consegnare loro dei turni di parola affinchè si ascoltino senza interrompersi; (può essere utile utilizzare un gomitolo)

sottolineare la validità delle ragioni dell’uno e dell’altro;

invitarli ad esprimere come si sentono;

invitarli ad esprimere le loro volontà;

domandare loro quale soluzione propongono per risolvere il conflitto.

E’ complesso inizialmente attuare il meccanismo del buon litigio, perchè è faticoso, lungo, lento. Ma la domanda che dobbiamo tenere a mente è:

Che cosa vogliamo ottenere?

Se vogliamo ottenere che i nostri bambini possano esercitare tutte le loro competenze emozionali, allora il nostro sforzo, sarà supportato dall’auto- motivazione.

E’ bene sapere che le emozioni hanno una “scadenza”. Esse sorgono nell’amigdala e vengono gestite dalla corteccia prefrontale. Per fare questo percorso impiegano 90 secondi. Ecco perchè è bene contare fino a 100 prima di reagire! Per dare il tempo all’emozione di arrivare nella corteccia prefrontale che è colei che è in grado di aiutarci nella gestione delle emozioni. Per cui,

-mostrare un momento di “pausa” in cui poter elaborare l’emozione, ritornando a respirare ad un ritmo regolare, è un ottimo inizio.

-Esprimere l’emozione provata è il secondo passo che traccia il sentiero dell’empatia. Ti mostro la mia emozione e tu puoi mostrarmi la tua, sono diverse forse, ma entrambe valide.

I bambini impareranno così che le emozioni possono essere espresse e gestite, che sono delle alleate e non dei nemici. Ricordiamoci però che la loro corteccia prefrontale non è ancora del tutto formata, per cui hanno la necessità di essere accolti e guidati in questo viaggio nella gestione delle emozioni.

Ultimi consigli utili:

-MAI etichettare un bambino per un atteggiamento durante un litigio. Così come il voto non fa il bambino, anche una scelta sbagliata non fa di lui un bambino sbagliato.

-Esperimento interessante sono i giochi di ruolo: il genitore fa il bambino, innesca un conflitto.Sarà interessante vedere la reazione del bambino e le soluzioni da lui progettate per la risoluzione.

-Qualora fossimo noi a dare l’esempio sbagliato, non dobbiamo mai dimenticare che si può e si deve recuperare, mostrando loro l’errore e spiegando perchè è stata una scelta sbagliata. Sbagliata non era l’emozione, ma il modo in cui l’ho espressa.

Tutti i soggetti sani sono dotati dei neuroni-specchio che ci permettono di attivare la stessa area del cervello attivata dalla persona con cui stiamo avendo una qualche forma di interazione. La natura ci ha così dotati di una base empatica che può aiutarci a “litigare bene”, ci vuole però allenamento e costanza.

Il Litigio Sano porta ad uno sviluppo di capacità multiple che possono essere applicate a diversi contesti.

Manuela Griso

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