C di Coerenza per sostenere l’adolescenza

Ahhhhh l’adolescenza! Quell’incredibile e sconcertante momento in cui stai parlando con tuo figlio/a e d’improvviso se ne va arrabbiato e offeso e non sai nemmeno il motivo. Quel periodo in cui tutto quello che dici è dannatamente sbagliato, quello dell’incomunicabilità. Di colpo, in casa, ti sembra di avere una persona che parla un’altra lingua, uno straniero venuto da lontano, che ha le sembianze del tuo caro ragazzo/a, ma con cui non riesci a parlare, non vi comprendete. Nonostante i tuoi sforzi di leggere le sfumature, i sorrisi, gli sguardi truci, non ce la fai, non li comprendi e alle volte ti fanno pure arrabbiare. Ed è lì che da una scintilla ti ritrovi in casa l’incendio che viaggia a velocità supersonica e tu non sei un pompiere. Non hai l’estintore o non lo sai usare. Cosa puoi fare?
Avvolgiamo per un momento il nastro e torniamo a quando tuo figlio/a aveva 1 anno circa. Inizia a camminare, a parlare, ad interagire in modo importante con l’ambiente che lo circonda e con voi (già da prima, ma i ricordi ora potrebbero risultarvi sfumati). Bene, ora pensate a tutte quelle situazioni in cui il vostro bambino desiderava fortemente qualcosa e voi glielo avete concesso, fino al giorno in cui quella richiesta vi sembrava superata o vi pareva che qualcosa non andasse più bene e di conseguenza avete detto NO, oppure non glielo avete concesso fin da subito. Molto bene. Ora che avete la situazione in mente, iniziate a rivedere il film. Cos’ha fatto vostro figlio di fronte a quel no?
Probabilmente ha pianto, magari ha sbattuto i piedi, urlato arrabbiato le emozioni che stava provando in quel momento; magari vi ha alzato le mani, o ha sbattuto degli oggetti a terra.
E voi come avete reagito?
Lo avete consolato? Avete tentato di spiegare? Avete compreso il suo comportamento e le sue emozioni o le avete sminuite perché vi sembravano esternazioni esagerate?
E dopo che cosa è successo? Avete continuato a gestire la frustrazione dettata dal no (sua e vostra) o avete svoltato sul SÍ?
È importante che voi ripensiate a quel momento e a tutti quelli  che si sono susseguiti nel tempo, negli anni a venire.
Se avete mantenuto il punto, spiegando le motivazioni che vi hanno portato a cambiare idea (l’età del bambino è una discriminante importante.  Per esempio lo avete sempre vestito voi, da un certo giorno in avanti, decidete che può iniziare a provare da solo. La frustrazione, il senso di abbandono e di ingiustizia, di incapacità può essere avvertito in modo importante dal bambino.), avete accolto le sue emozioni, siete rimasti e lo avete accompagnato al cambiamento, o se avete lasciato andare la battaglia e avete optato per il sì, per mille ragioni, stanchezza vostra, del bambino, il dubbio di aver sbagliato a dire di no, i ricordi della vostra infanzia intessuta di negazioni, o il pensiero che il vostro bambino stia soffrendo molto e, in fondo, perchè dirgli di no?
I bambini hanno bisogno di coerenza. Certamente l’età inficia molto e i cambiamenti sono non solo necessari, ma indispensabili. Scegliete bene però le vostre battaglie.

Photo by cottonbro studio on Pexels.com

Se ritenete fondamentali certi NO, non fateli diventare SÌ. PER NESSUNA RAGIONE. Il bambino piangerà, scalpiterà, vi accuserà, si arrabbierà e compirà vari gesti, ma rimanete fermi come un faro nel mare. Non lasciatevi travolgere dalle sue emozioni, altrimenti rischiate di andare a fondo con lui e questo non gioverà a nessuno dei due. La frustrazione è necessaria allo sviluppo del bambino per imparare a gestire le sue emozioni, per trovare strategie di soddisfazione diverse di quello che in quel momento avverte come un bisogno, di acquisire tecniche di mediazione, di gestire l’insoddisfazione, di comprendere che ci sono dei NO necessari, dati per il suo bene. Certo questo non dev’essere uno stato permanente, una condizione costante in cui il bambino è immerso, altrimenti si può generare bassa autostima e considerazione di sè, dei propri bisogni; può generare sentimenti di scarsa cura e un  attaccamento insicuro alle figure di riferimento.
Tutto deve essere dosato e con “scegliere le proprie battaglie” intendo proprio questo. Non possiamo far sì che il NO sia il  modus operandi predefinito con nostro figlio, ma nemmeno cadere nel lato opposto. Se il nostro NO diventa SÌ, il bambino penserà che può accadere con tutti i no, che non sono così definitivi e che nella vita ci possa sempre essere una scorciatoia, basta pestare i piedi più forte.

Photo by Anna Shvets on Pexels.com


Ora, se torniamo all’adolescente, e vediamo un ragazzo/a cresciuto con l’incoerenza, capiamo bene come in questa fase di totale affermazione della propria individualità, dove si fa spazio la personalità, scalpitando a più non posso per distinguersi dai genitori, sia naturale il tentativo di dissuadere e schivare ogni No. Cosa ci salva?
La coerenza che abbiamo avuto negli anni. Ogni NO rimasto tale. Questo ha permesso al bambino non solo di conoscere le regole della propria famiglia, i valori e le dinamiche relazionali, ma anche il senso di quel No. Al di là delle spiegazioni che possono essere arrivate nel tempo, se quel No è rimasto tale, vuol dire che era davvero importante, vuol dire che posso farci affidamento, diventa una SICUREZZA.
Il dire sempre sì ci assicura rapporti morbidi, sicuramente poche sfide e molti grazie. Può però generare anche insicurezza, il pensiero di non essere abbastanza importante per il genitore, perché “pur di non avermi tra i piedi, mi dice di sì”. L’affermazione positiva  non è sinonimo di amore. Alle volte significa “almeno così  non mi scocci” o “vai pure almeno non mi devo occupare di te”; generando spesso moti di rancore che paiono immotivati “ti ho detto di sì perché dovresti essere arrabbiato?”  Perché mi sento in mezzo al caos e tu non mi dai una direzione sicura, mi lasci in balia del mare perché tenere il timone è troppo faticoso. È più facile lasciare che tenere. È più facile il sì del no.
Ma non saranno i sì detti per non creare frustrazione che aiuteranno i rapporti nell’ adolescenza. Saranno i NO coerenti e i SÌ sentiti che permetteranno un dialogo aperto, la gestione adeguata della frustrazione, la saldatura del rapporto anziché la rottura.
Le mie figlie sanno che ci sono dei NO che sono imprescindibili. Non provano nemmeno a farli diventare sì. Perché sono NO dalla nascita ad oggi. E ora che sono adolescenti e pre-adolescenti, quelli sono i paletti fissi, quelli sicuri, che limitano i confini e la zona di movimento che sta nel mezzo. Non sono cambiati, sono ciò che ha illuminato la loro strada e le aiuta a mantenere la via.   È questo che ci consente di tenere il rapporto al sicuro nonostante le discussioni e le arrabbiature.

Negli anni sicuramente, come detto prima, ci sono dei cambiamenti necessari e indispensabili. Non possiamo pensare di dire ad un ragazzo di 15 anni di andare a dormire alle 21, ma per un bambino invece è un orario adeguato. Ci sono dei No che variano con le fasi di sviluppo e di vita del bambino, dei No detti in circostanze particolari, per salute magari, ma ci sono dei No che non possono cambiare mai. Riguardano i valori che una famiglia sostiene, le dinamiche relazionali tra i componenti, le mediazioni ottenute tra genitori su questioni etiche magari; i No detti per salvaguardare l’incolumità dei bambini e dei ragazzi, che sia fisica o psichica. C’è un mondo intero là fuori che cambia costantemente. Siamo in balia di cose talmente grandi che tutto può apparire effimero e dire di sì, almeno noi, ci pare come una sorta di ricompensa dovuta, come un ombrello che ripara dalla tristezza. Non siamo immuni.

Dobbiamo attraversarla la tristezza per saperla affrontare; la rabbia può essere distruttiva se non impariamo a canalizzarla; la frustrazione può sopraffarci se non impariamo che siamo in grado di fare a meno di quella cosa che tanto desideriamo ora. Diamo la possibilità ai nostri bambini di sperimentarsi, credendo che ce la possano fare, stando loro accanto nel momento di crisi acuta, comprendendo i loro sentimenti, legittimandoli, ma rimanendo fermi in quella che è stata la nostra scelta, fidandoci di noi stessi e del fatto che l’abbiamo compiuta in uno stato di lucidità, per il bene del bambino.

Photo by Ron Lach on Pexels.com

I nostri figli potranno anche odiarci in alcuni momenti, crederci ingiusti, rigidi, incapaci di comprensione, ma alla lunga, se siamo rimasti con loro, se non li abbiamo lasciati soli, riconosceranno che le nostre scelte, anche quelle dolorose, erano per il loro bene.

La palestra emotiva è l’unico strumento che consentirà ai nostri bambini di diventare ragazzi e adulti consapevoli delle proprie emozioni e in grado di accettarle e gestirle. La nostra coerenza sarà il faro che li guiderà nelle loro scelte future e ciò che consentirà loro di comprenderci anche nel momento in cui saremo più distanti.

IL MANTELLO PERBENISTA DEL “PER IL BENE DEI FIGLI”

La separazione dei genitori è ormai un elemento comune a molti bambini. Purtroppo però sono ancora poche le volte in cui padre e madre riescono ad accordarsi e ad affrontare la situazione nel migliore dei modi per “il bene dei figli”.
Ma qual è il bene dei figli? Chi lo stabilisce?
Ogni essere umano è unico ed inimitabile, nella buona e nella cattiva sorte. Questo, è evidente, porta ognuno di noi ad avere dei bisogni diversi gli uni dagli altri. Ciò comporta un contrasto chiaro con i criteri che si reiterano da secoli in tema di separazioni.

Photo by EKATERINA BOLOVTSOVA on Pexels.com

Alcuni miti da sfatare che si verificano ancora troppo spesso:
1.”Il bene dei bambini è stare con la mamma” per quale motivo? Chi stabilisce che un genitore, solo in quanto donna, sia più adatto a prendersi cura di un bambino in tutta la sua complessità? Non sono forse le inclinazioni naturali, la visione del mondo, l’impegno costante, le competenze emotive, a dover illuminare certe decisioni?
2.“Il bene dei bambini è la bi-genitorialità” ma davvero riteniamo che alcuni soggetti, senza sostegno alcuno, possano essere genitori consapevoli di ciò che stanno facendo? Persone violente, con dipendenze di ogni sorta, che non si prendono nemmeno cura di se stesse? E questo indipendentemente dal sesso. Uomo o donna non fa differenza. Ci sono madri che dichiarano apertamente di non aver voluto  i figli, ma poi, pur di apparire buone e socialmente adeguate, si giocano la carta del tribunale contro i padri. Ci sono padri che non conoscono nemmeno le allergie gravi dei figli, ma che si dichiarano padri presenti e attenti ai propri bambini. Non tutti sono in grado di fare i genitori. Non possiamo pensare che basti mettere al mondo una creatura per diventarlo. E obbligare qualcuno a farlo non è una scelta che comporta benefici effettivi, né per i genitori, né tantomeno per i figli.

Che il bene dei figli sia rimanere solo con il papà non l’ho mai sentito dire, forse perché gli uomini sono più umili sotto certi aspetti e non pensano di poter fare tutto loro. Da sempre sono considerati il genitore numero 2, quello non così indispensabile. Spesso le madri si ergono ad esseri superiori, ma indossando il mantello del martire ” lo faccio perché sono capace solo io, mannaggia a te che sei un incapace” o “se non lo faccio io chi lo fa?” Di fatto si mettono da sole nella condizione del monogenitore nonostante siano ancora in coppia. Avvenuta la separazione mantengono il ruolo e l’ex ha due vie: o tentare di costruire un rapporto paritario rispetto ai figli, o mantenere anche lui il suo ruolo da padre assente . Dove stia la verità è spesso molto difficile capirlo,perché le versioni discostano sotto molti aspetti.

Photo by Karolina Grabowska on Pexels.com

Le storie di oggi sono piene di donne vittime dei propri ex mariti o compagni e tanti sono stati i segnali precedentemente, ma nessuno se n’é voluto occupare. È aberrante e inaccettabile.
Mi domando allo stesso tempo quanti uomini ci siano, vittime emotive di donne che si credono il creatore. Che si arrogano il diritto di scegliere a discapito di un rapporto padre/figli, coprendolo anche con il mantello del “bene per i figli”.
L’unico tassello univoco a tutti è che il bene per i figli sarebbe poter avere dei genitori che li amino, indipendentemente dai rapporti tra loro; che non si facciano la guerra pensando che eliminare l’altro (ritenuto inadeguato) sia “il bene dei figli”.
La manipolazione della realtà a proprio vantaggio, la cecità di fronte a palesi reazioni dei figli che indicano che si sta andando nella direzione sbagliata, magari accompagnati dalla nuova compagna/o, è un modello usuale ai più, durante e dopo la separazione. Non si vedono più, davvero, i propri figli, ma si vede ciò che si vuole vedere. Si pensa che se la situazione fa vivere bene noi, sia certamente così anche per i figli. E mentre loro si arrabattano con strategie di sopravvivenza più o meno evidenti, noi li vogliamo vedere felici, per cui questa sarà la storia che racconteremo a noi stessi e agli altri.

L’altro genitore viene dipinto come assente, immaturo e inadeguato ( padre); poco di buono, pazza ed esagerata (madre). Il risultato sta nel mezzo, dove troviamo figli che non sanno schierarsi, che se lo fanno si sentono colpevoli e che spesso, molto spesso, non vengono creduti. Se uno dei due genitori dice all’altro: “il bambino mi ha detto che… ” si viene subito accusati di essere bugiardi, se non addirittura di alienazione. Ci si ritrova così a dover abbozzare per quieto vivere, a sentirsi dei genitori inadeguati perché non possiamo sostenere il nostro bambino, o a fare la guerra pur di ottenere ciò che riteniamo giusto per i nostri figli.


Come uscire dunque da questo tunnel? Come comprendere quando stiamo realmente vedendo la realtà e quando invece indossiamo lo sguardo del nostro benessere come filtro?
1) Tuo figlio ti dice che dall’altro genitore fa qualcosa che non gli piace fare. Invece di sentirti in colpa o prendere di petto la situazione, senza sapere dove ti porterà, lavora con tuo figlio affinché piano piano possa prendere coraggio e dire al genitore in questione di che cosa avrebbe bisogno. Come fare? Rimandando al bambino che con l’altro genitore può parlare, che sarà pronto ad ascoltarlo, che la sua opinione è importante; oppure provare le strategie del problem solving cercando delle possibili alternative da mettere in atto. Fate una bella lista, con tutte le idee che vi vengono in mente (genitore e figlio), poi rileggetela e spuntate le idee che non sono attuabili. Arriverete a trovare delle soluzioni insieme, mostrando al bambino una strategia efficace di risoluzione dei conflitti, che interiorizzerà nel tempo e potrà far parte del suo bagaglio comunicativo.
2) Vostro figlio vorrebbe stare di più con voi che con l’altro genitore.
Analizzate con calma la situazione. Domandate a vostro figlio che cosa fate (o siete) che lo rende più felice quando siete insieme. Senza accusare l’altro genitore o sminuire le sensazioni del bambino, parlate insieme dei suoi bisogni. Ascoltateli. Provate a rimandare l’emozione che secondo voi provano,  per verificare se avete ben compreso. A questo punto domandatevi quale emozione scaturisce in voi tutto questo. Riguardate i bisogni del bambino e i vostri. Se riuscite, con empatia, provate a spiegare al bambino, perché in quel momento non è possibile soddisfare quel bisogno. Se sapete già che potrà essere soddisfatto, date loro una scadenza. Se vi sentite impotenti, abbracciatelo. Capirà.
3) Temete che l’altro genitore possa mettervi contro i figli.
I figli amano i loro genitori. Indipendentemente da come questi si comportino con loro. Che siano affettuosi e attenti o violenti e assenti, loro li amano comunque. E cercheranno sempre di renderli felici. Anche quando sembra che facciano di tutto per ferirli , in realtà ricoprono il ruolo che gli è stato assegnato. Vogliono dare ragione al genitore, pensando che così sia felice. I bambini vogliono il bene dei loro genitori, alle volte più di quanto i genitori vogliano il bene dei figli.
Quando un genitore parla male dell’altro con i figli, potrebbe ottenere un iniziale rapporto conflittuale tra i due, ma esso si risolverà in tempi brevi se quello che è stato riferito non è la verità. I bambini sono piccoli, non stupidi. Sentono il bene e ne sono affamati.
Si può cadere però anche nel lato opposto. Ovvero… Il genitore dice la verità e il bambino lo prende per bugiardo e non gli crede. Anche in questo caso, il bambino mostra l’amore verso il genitore che secondo lui è più fragile. Per cui si può ottenere come risvolto un maggior attaccamento.
Per evitare tutto questo, è necessario,seppur complesso alle volte, che ogni genitore pensi al proprio rapporto con il figlio, senza intromettersi nelle dinamiche con l’altro. Soltanto così il bambino sarà libero di osservare con i propri occhi, di farsi una sua opinione e di manifestare i suoi stati d’animo senza influenza alcuna. Ci si sente impotenti nel vedere la manipolazione e nel comprendere che è meglio supportare a lato ed eventualmente raccogliere i cocci, senza intervenire a gamba tesa. L’istinto ci porterebbe dall’altra parte, ma il rapporto con l’ex può influenzare la nostra visione delle cose.
4) Domandatevi se foste nei panni di vostro figlio come vi sentireste.
Chiedetevi che cosa sta provando, se corrisponde a come vi sentireste voi. Analizzate i conflitti che pensate stia vivendo e create con lui uno spazio di ascolto. Soltanto voi due. Apritevi a lui. Dedicategli del tempo vero. Dove la vostra attenzione non sia interrotta dal suono del cellulare, dalla televisione o dalle parole di un altro adulto.
5) Non rinnegate il passato.
Avete vissuto con il padre o la madre dei vostri figli per un certo tempo di vita. Avete condiviso gioie e dolori. Vi siete amati e magari anche odiati. Ma da quel rapporto sono nati i vostri figli, che meritano di sapere che i loro genitori si sono amati, che il rapporto è mutato, ma il rispetto resterà sempre. Hanno bisogno di saper e che in qualche modo, una parte di amore resterà per sempre. Altrimenti non crederanno più ai vostri “ti voglio bene”. Penseranno che sarà così finché non faranno qualcosa che vi farà arrabbiare davvero. E da lì, allora, odierete anche loro.
Dobbiamo dare loro l’assoluta certezza che il nostro amore per loro non passerà mai. Dobbiamo essere coerenti. Se passiamo dall’amore all’odio con facilità in rapporti importanti, è come se confermassimo loro che prima o poi li abbandoneremo, esattamente come abbiamo fatto nella relazione con l’altro genitore.

Non ci sono formule magiche per una “separazione serena”. I due termini insieme già suonano come una dicotomia.
Ma lo scopo di tutto questo è ricordarsi che non esiste “IL bene dei figli”; esiste l’idea che ognuno di noi ha rispetto a questo e l’unica legge che davvero dovremmo tenere a mente è quella di continuare a rispettarsi nonostante tutto e ad osservare i nostri figli, senza filtri attivi.
Questa è l’unica base per il vero bene dei figli. Da lì si può partire a costruire tutta la parte gestionale e organizzativa, tenendo presente le esigenze e i bisogni dei bambini, partendo dai loro sguardi. Ricordandosi che fare il genitore è un onore, non un peso. Per cui non siamo eroi se abbiamo un nucleo monogenitoriale o se stiamo con i nostri figli la maggior parte del tempo perché l’altro genitore è impossibilitato da eventi o da volontà. Noi siamo quelli fortunati. Quelli che possono godere di momenti importanti che non torneranno più. Non sentiamoci eroi e nemmeno martiri, vittime di uomini o donne latitanti che non ricoprono il loro ruolo. Sentiamoci grati per poter godere ogni giorno della presenza dei nostri figli, del loro amore e dei loro preziosi insegnamenti.

Photo by Andrea Piacquadio on Pexels.com

Cari mamma e papà,
ho due anni e non capisco
come mai devo stare a volte lontano dal papà e a volte dalla mamma. Voi me lo avete spiegato, ma io non ho capito bene. Vorrei potermi addormentare ogni sera con la favola del papà e il bacio della mamma, vorrei potermi arrabbiare con uno e farmi consolare dall’altro per poi tornare ad abbracciarci tutti insieme.
Cari mamma e papà, ho 4 anni e sono arrabbiato. Vorrei non dovermi spostare da una casa all’altra in continuazione e poter dormire con voi nel lettone come facevamo prima. Vorrei non svegliarmi nel cuore della notte e chiamare papà senza che mi possa rispondere e vorrei poter abbracciare la mamma quando esco da scuola ogni giorno. Non voglio dover andare via dal papà quando stiamo giocando e non voglio lasciare la mamma quando sono stanco.
Non mi piace vivere così.
Cari mamma e papà ho 7 anni. Nella mia classe ci sono tanti bambini che hanno la mamma e il papà in due case diverse. Non mi sento speciale, mi sento solo triste e alle volte mi sento un peso. Tu, mamma, ti arrabbi se sto con te nel giorno in cui dovrei andare da papà, ma papà non può. E alle volte invece sento te, papà, che vorresti andare a sciare ma poi dici: ma devo stare con mio figlio. Vorrei non dover scegliere la domenica se stare dal papà o dalla mamma. Vorrei che foste voi a decidere perché per me è troppo difficile scegliere. Io voglio bene ad entrambi.
Cari mamma e papà ho 14 anni. Vi siete separati da tanto ma ancora vi sento parlare male l’uno dell’altra. A volte papà mi dice che sono come te, mamma, e ho capito che lo dice con un tono dispregiativo. Altre volte mamma mi dice che tu sei un egoista perché non rispetti gli impegni presi. Ma io lo so, papà, che tu se non vieni è perché hai un motivo valido, lo so che mi vuoi bene e che per te sono importante. Quando siamo insieme parliamo, stiamo insieme, ti dedichi a me.
Io lo so, mamma, che tu sei una donna forte e in gamba, che alle volte quando non mi vedi, quando sei incentrata su di te, non lo fai perché non mi vuoi bene, lo fai perché pensi di darmi un buon esempio prendendoti cura di te. Ed è vero mamma, in parte è così. Quando papà mi dice che sono come te, io non la prendo male, perché per me è un complimento.
Non sono più una bambina, ma mi domando come possano due persone amarsi tanto e poi farsi così del male per tanto tempo? Perché non la smettete? Farete così anche con me se non farò quello che volete voi?
Cari mamma e papà, ho 20 anni. Vi ringrazio per essere stati la mia mamma e il mio papà. Per aver dato ciò che siete riusciti a dare, perchè sono fiera di me stessa e questo è anche merito vostro. Ora sono in terapia per comprendere quali colpe ho avuto nella vostra storia. Spesso mi sono sentita usata per ferire l’altro, mi sono sentita di peso nelle vostre nuove vite. Devo costruirmi un modello d’amore che sia solo mio. Ho tanto lavoro da fare, tante domande a cui dare risposta, ma non sono più arrabbiata con voi. So che mi amate a modo vostro e che ora l’indifferenza tra voi ha concesso la pace. Gioirò il giorno in cui vi riconoscerete  nuovamente e saprete vedere la luce che c’è in ognuno di voi, la stessa luce che incontrandosi mi ha permesso di venire al mondo. Vi amo nonostante tutto e vi sono grata. 

N.B. Questo articolo si riferisce a casi di separazione che escludono violenze domestiche, psicologiche e fisiche. Esclude situazioni limite, siano esse dettate da forte conflittualità o da dipendenze di vario genere, dove la sola legge può intervenire per la salvaguardia della prole e degli stessi genitori.

DOP: Disturbo Oppositivo Provocatorio, Denominazione di Origine Protetta

“Con il termine “Disturbi del comportamento” ci riferiamo alla condizione di bambini che mostrano comportamenti aggressivi, difficoltà a regolare le proprie emozioni e scarso rispetto per le regole date dagli insegnanti e dai genitori. Queste caratteristiche devono essere presenti quasi tutti i giorni per almeno 6 mesi e solitamente si presentano sia nell’ambito familiare, sia nell’ambito scolastico”
“Il Disturbo oppositivo Provocatorio si configura come un pattern di umore irritabile e collerico con comportamenti provocatori, polemici, vendicativi e sfidanti”

Dal libro Dop disturbo oppositivo provocatorio cosa fare (e non), guida rapida per insegnanti


Sono sempre di più i bambini che sviluppano disturbi del comportamento fin dai primi anni di vita e sempre più importanti gli interventi che vengono effettuati su e con questi bambini per far sì che possano integrarsi nella società in una modalità di relazione serena ed efficace.
Le domande da porsi sono tante se si osservano i dati. Eccone alcune:
-Come mai questi bambini adottano tali comportamenti?
-La diagnosi è un valore aggiunto per il sostegno del bambino o un’etichetta che permette la rassegnazione senza senso di colpa?
-Cosa si può fare di davvero efficace per sostenere i bambini, le famiglie e gli insegnanti?

Photo by Stephen Andrews on Pexels.com


I dubbi e le difficoltà sono davvero molteplici, le strategie possono essere diverse in base all’osservazione del comportamento del bambino, del contesto familiare, dell’attivazione del disturbo e delle modalità di espressione, ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti comuni nel disturbo oppositivo provocatorio.


Tipicamente ci sono fasi di sviluppo che mostrano l’opposizione come caratteristica di base e queste hanno la funzione di aiutare il bambino nella costruzione della propria identità. I bambini che permangono, incastrati, in queste fasi di sviluppo sono bambini sofferenti.

Bambini che portano un peso più grande di loro, di cui non comprendono l’entità e che non gli permette di regolare l’emotività. Tutto è amplificato: il peso emotivo, le reazioni del bambino e la visione delle reazioni altrui.
Questa distorsione porta il bambino all’interno di un loop da cui non riesce ad uscire, anche perché spesso si manifesta in età talmente precoce, da non aver ancora sviluppato del tutto la corteccia  prefrontale , colei che ci permette di revisionare la realtà, di regolare le reazioni emotive e di comprendere gli aspetti sociali.  Spetta all’adulto dunque comprendere, analizzare e trovare una modalità di relazione e di gestione del bambino con DOP.

Photo by irwan zahuri on Pexels.com

La diagnosi dovrebbe essere un indizio per l’insegnante, che lo spinge in una direzione piuttosto che nell’altra, rispetto al comportamento da tenere a propria volta con il bambino; uno strumento utile per la comprensione di alcuni atteggiamenti del bambino. Molto spesso, invece, viene interpretata come un’etichetta sull’intera identità del bambino, che come tale va a bloccare ogni tentativo di “recupero”, di relazione efficace, determinando una sorta di rassegnazione che elude però il senso di colpa, perché “non sono io che ho fallito, è il bambino che è sbagliato”.
Se si parte dal presupposto che un bambino con Disturbi comportamentali sia irrecuperabile, non ci poniamo nella direzione giusta per poter anche solo fare un passo su una strada non ancora vagliata. Rimaniamo incastrati davanti al nostro muro, senza vedere che accanto c’è una porta. Bisogna trovare la chiave, certo, ma la porta c’è.
Se partiamo invece dalla base e cioè dal motivo per cui questi bambini si comportano così, credendo fortemente che nessun bambino NASCE così, nessun bambino nasce “cattivo”, nessun bambino È il comportamento che sta attuando, iniziamo con il piede giusto.
Le motivazioni possono essere molteplici e svariate, ma la piattaforma su cui sono costruite, è la medesima: la sofferenza.
Il bambino con DOP pensa di essere sbagliato, di vivere in mezzo a persone che non lo apprezzano; ha bisogno di essere visto, riconosciuto, apprezzato.  È necessario fargli notare i comportamenti positivi che attua, in modo da rinforzare l’autostima e la risposta “adeguata” in una determinata situazione.


La regolazione dell’emotività è l’aspetto più complesso nei bambini con DOP, perché l’onda emotiva li travolge in modo così totalizzante, da non mostrargli altro.

Circondato dalla sua emozione, il bambino non vede l’altro e non è in grado di percepirne la reazione emotiva. È necessario mettere a sua disposizione degli strumenti che gli consentano di apprendere una modalità di gestione dell’emozione soprattutto nella fase acuta, in modo da non inficiare le relazioni e non accrescere la sua sensazione di inadeguatezza.
Possono esserci una moltitudine di stratagemmi da attuare, sulla base dell’osservazione del singolo bambino, che accompagna ogni giorno l’adulto verso la conoscenza dei suoi schemi di comportamento. Ci sarà il bambino che necessiterà di un approccio pratico- fisico per incanalare l’esplosione emotiva, o il bambino con cui bisognerà trovare una modalità diversa, magari grafico-pittorica, per dar voce a ciò che sta provando. L’osservazione e la capacità di ascolto profondo, anche del non verbale, saranno le armi vincenti per la gestione del comportamento oppositivo provocatorio.

Photo by Alexander Grey on Pexels.com


DOP, Denominazione di Origine Protetta: indica un prodotto di alta qualità, la cui zona di origine e le tradizioni utilizzate tutt’ora per crearlo lo rendono così peculiare da doverlo salvaguardare da contraffazioni.
Iniziamo a pensare al bambino con DOP, con questa determinazione della sigla e cambiando la nostra visione, pensandolo come un essere unico e da salvaguardare, saremo in grado di amarlo, sostenerlo e potenziare i suoi talenti, senza definirlo per le sole difficoltà.

Crescere Genitori

Quando si diventa genitori la propria vita cambia completamente, subisce uno stravolgimento emotivo, fisico, psichico, in termini di tempo, di priorità, di sentire, di essere. Un essere vivente dipende da noi, ci sentiamo investiti di responsabilità e non sempre ci sentiamo adeguati. Si leggono libri, si frequentano corsi pre-parto, si accettano consigli da parenti e amici che “ci sono già passati”, per tentare di rimanere in piedi, di sentirsi in grado, di farsi amare dal proprio cucciolo. Ci sono guru o presunti tali che vendono formule magiche, libretti di istruzioni, come se tutti i bambini e i genitori fossero uguali, come se noi non potessimo compiere scelte adeguate seguendo il nostro istinto. Non sono mai stata fan di chi promette miracolose soluzioni uguali per tutti, credo che ogni genitore nasca tantissime volte dal momento in cui viene al mondo un figlio. Nulla è statico. Come nostro figlio o nostra figlia crescono, così anche noi esploriamo il nostro nuovo ruolo, lo abitiamo, ce ne innamoriamo, a volte vorremmo uscirne fuori, altre volte ci usciamo davvero per poi rientrare dalla porta sul retro con una prospettiva tutta nuova, che ci porta a ri-nascere ancora. Per questo non solo credo, ma sono certa, che non esistano corsi, percorsi, modelli, metodi o quant’altro che offrano un’unica via risolutiva per tutti, che funzionino davvero e sapete perchè? Semplicemente perchè non possono prevedere ciò che ancora non è stato vissuto, perchè ogni essere umano è un mondo in evoluzione e deve affidarsi al proprio sentire, alle percezioni, all’amore genitoriale che lo guida sempre, se viene ascoltato.

Esistono corsi formativi esperienziali davvero belli e ricchi di contenuti, dove il conduttore porta nuovi punti di vista, diverse porte di servizio che non avevamo ancora scoperto. Corsi di gruppo, in cui si entra in contatto con altri genitori che vivono i nostri stessi stati d’animo, le difficoltà, le paure, i successi e nascono splendidi confronti. Si studiano possibilità, si verificano ipotesi lavorando sul “campo”, si sperimentano nuove visioni. Ma non ci sono soluzioni immediate, senza fatica, calate dal genio della lampada che tutto risolve al posto mio. Fare il genitore implica lo sporcarsi le mani, l’impastare la propria vita, i vissuti, l’infanzia, i traumi subiti e rivedere tutto quanto per comprendere dinamiche disfunzionali che vengono attuate con i nostri figli e che ci allontanano da loro. E’ fondamentale operare su se stessi, guardare in faccia i propri fantasmi, ammettere le proprie difficoltà. Non si può pretendere di lasciare in mano ad uno sconosciuto il rapporto più importante della nostra vita, credendo che possa risolverlo per noi.

Commetteremmo un terribile errore. L’amore implica impegno, costanza, cura. Avere cura. Le cure riservate ad un neonato però non possono essere le stesse di un bambino di 4 anni o di un adolescente di 14. Ci saranno cure diverse per ogni momento della sua crescita, ma non dimenticarti, che stai crescendo anche tu. Imparerai a conoscere tuo figlio un passo alla volta. Comprenderai ciò che ama e ciò che detesta, ciò che lo fa sentire triste o felice; il suo sguardo ti comunicherà il suo stato d’animo senza necessità di parole, il suo corpo ti mostrerà i segnali di malessere che saprai decifrare a menadito. Saprai dove ha una voglia, qual è il suo sorriso imbarazzato e cosa fa quando è stanco. Non smettere di osservarlo, perchè anche alcune di queste cose cambieranno. Inizierà a camuffare la tristezza con un sorriso, giocherà ad indossare maschere inconsce e tu potresti non accorgerti di tutto ciò. Lo hai fatto anche tu con i tuoi genitori, sono tappe fondamentali per la creazione della propria identità ed il distacco dalle aspettative. Non smettere di amarlo e non credere che ti ami di meno. Cresci con lui. Adatta le tue parole, calibra la tua corda tesa, stai in silenzio, ma porgi un orecchio. Ricordati di te bambino/a e poi ragazzo/a, le tue inquietudini, il tuo caos. Condividilo magari, assaporalo e prova a ricordare come hai messo ordine. Ti servirà ora, per sentirti un genitore adeguato, per rimettere ordine nel caos di insicurezza in cui magari piombi ogni tanto. Abbi fiducia in tuo figlio/a e in te.

E dunque, quali sono le soluzioni per “crescere genitori”?

Porsi domande, darsi risposte, formulare ipotesi, verificarle, confrontarsi, ritornare indietro, mettersi in discussione, cambiare le risposte e sentire la nascita di nuove domande. Tutto questo, fino alla fine dei vostri giorni.

La campanella silenziosa della fine della scuola

E’ finita la scuola. Quella digitale,con i visi piatti dietro allo schermo, dove non senti i profumi e gli odori dei tuoi compagni di avventura; quella dove un discorso importante viene interrotto dalla linea scadente; quella dove non puoi chiedere aiuto al compagno; dove la maestra fa l’ “interrogazione” di gruppo perchè si sente male al pensiero di interrogare un bambino senza poterlo guardare negli occhi, senza sentire sulla pelle se ha bisogno di più tempo per rispondere o di un piccolo incipit. E’ finita la scuola e i bambini non hanno potuto salutarsi, salutare le loro insegnanti, quelle persone che li hanno accompagnati per il loro ciclo di studi e di vita. E’ finita la scuola, senza la campanella che suona lungamente per annunciarne la venuta; senza i canti di fine anno,con la felicità dei bambini per l’arrivo delle vacanze;è finita senza lo spettacolo, la consegna del diploma, i pianti.


Si è vissuta la privazione: della libertà, dei diritti, del contatto umano, della cultura e del lavoro.
Si è vissuta la paura: della malattia, della ripresa della vita “normale”, del contatto con l’altro, dei burocrati fanatici, della perdita del lavoro, del futuro incerto.
Si è vissuta la frustrazione, la rabbia e l’impotenza: per non poter fare altro se non stare in casa, per non poter far parte di una soluzione “attiva”; per non poter cambiare le cose.
Si è vissuta la speranza: che tutto potesse finire presto, che la malattia non ci colpisse, che la vita potesse tornare a scorrere, che il lavoro potesse ricominciare, che i nostri figli potessero tornare a scuola.
Si è vissuta l’attesa: alle volte con gratitudine per i tempi lenti, famigliari,quelli che servono per la lievitazione; altre volte con incertezza, sofferenza e insofferenza.
Per noi adulti, promotori della fretta, della produzione, dell’affermazione, stare fermi ad aspettare senza certezze, senza tempi definiti, senza soluzioni alla mano, è stato un tempo duro, in cui tutto ha cambiato forma.
Per i nostri figli, poi,non eravamo più solo mamme e papà, eravamo maestri. E siamo caduti, nelle nostre fragilità culturali. Chi in matematica, chi in italiano, in storia o in tecnica. Siamo caduti di fianco ai nostri figli e abbiamo cercato risposte. Su internet, tramite amici, tra moglie e marito, o chiedendo direttamente alla maestra via chat. Siamo caduti, ma ci siamo rialzati. Avevamo un bastone forte a sorreggerci: i nostri figli.
Loro che hanno vissuto tutte le nostre emozioni, anche quelle non palesate a parole o in atteggiamenti chiari; che hanno sentito, nella carne, tutto ciò che abbiamo provato; che erano invasi dalle loro molteplici sensazioni,ci hanno sorretto. Si sono adattati, sono stati pazienti, si sono ridimensionati e hanno continuato a portare il sorriso per la maggior parte del tempo.
Ma cosa hanno vissuto questi bambini, queste bambine, questi ragazzi e queste ragazze?
Hanno sentito caos.

A tratti pervasi dalla felicità di stare a casa con mamma e papà, a cucinare, dipingere pareti, giocare insieme. Dirompente però la sensazione che questa non fosse la normalità e che venisse anche mal-accettata dai genitori, che portasse sconforto, paura, incertezza. L’avanzare dei giorni di lockdown ci ha portati a parlare con i nostri bambini, a confrontarci, a mostrare i due lati della medaglia. Loro stessi portavano insofferenza, litigi, il desiderio di tornare a scuola.


E come lo si spiega ai bambini che dal 4 maggio tutto, piano piano, sta tornando come lo conoscevamo prima della pandemia, tranne la scuola? Che si può andare al ristorante, che ci si può abbracciare sul campo da calcio,ma che loro non hanno diritto di farlo con gli amichetti? Come lo si spiega ai bambini che gli adulti possono lavorare in 20-30 tutti insieme, mentre loro dovranno essere suddivisi in piccoli gruppi?
Non ho risposte per queste domande, perchè sono le stesse che mi pongo dal 4 maggio senza trovare una logica sana per rispondere a tutto questo.
L’unica cosa che è finita davvero con la pandemia è la Scuola. Che questo sia però motivo di ri-evoluzione, di re-invenzione di un’intero sistema. Sistema che si adatterà alle esigenze degli alunni, non viceversa. Che si utilizzi questa FINE come una ripartenza verso nuovi orizzonti. Io ci credo in una NUOVA SCUOLA. Credo che ci siano persone, professionisti, che hanno già compiuto grandi passi negli anni addietro, verso una direzione diversa, più naturale. Che hanno improntato il loro insegnamento sulla relazione con l’alunno e non solo con nozioni sterili.

Cogliamo questa opportunità e costruiamo un nuovo modello di scuola.
Che sia ricca di contatti umani, di relazioni, di gioco, di Natura, di apprendimento curioso.


Se i bambini hanno subìto il peggio, ora hanno diritto al meglio che possiamo immaginare.
E’ finita la scuola, ma possiamo e dobbiamo ricostruirla. Per loro, per noi, per l’umanità intera.

Manuela Griso

Blog su WordPress.com.

Su ↑