DOP: Disturbo Oppositivo Provocatorio, Denominazione di Origine Protetta

“Con il termine “Disturbi del comportamento” ci riferiamo alla condizione di bambini che mostrano comportamenti aggressivi, difficoltà a regolare le proprie emozioni e scarso rispetto per le regole date dagli insegnanti e dai genitori. Queste caratteristiche devono essere presenti quasi tutti i giorni per almeno 6 mesi e solitamente si presentano sia nell’ambito familiare, sia nell’ambito scolastico”
“Il Disturbo oppositivo Provocatorio si configura come un pattern di umore irritabile e collerico con comportamenti provocatori, polemici, vendicativi e sfidanti”

Dal libro Dop disturbo oppositivo provocatorio cosa fare (e non), guida rapida per insegnanti


Sono sempre di più i bambini che sviluppano disturbi del comportamento fin dai primi anni di vita e sempre più importanti gli interventi che vengono effettuati su e con questi bambini per far sì che possano integrarsi nella società in una modalità di relazione serena ed efficace.
Le domande da porsi sono tante se si osservano i dati. Eccone alcune:
-Come mai questi bambini adottano tali comportamenti?
-La diagnosi è un valore aggiunto per il sostegno del bambino o un’etichetta che permette la rassegnazione senza senso di colpa?
-Cosa si può fare di davvero efficace per sostenere i bambini, le famiglie e gli insegnanti?

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I dubbi e le difficoltà sono davvero molteplici, le strategie possono essere diverse in base all’osservazione del comportamento del bambino, del contesto familiare, dell’attivazione del disturbo e delle modalità di espressione, ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti comuni nel disturbo oppositivo provocatorio.


Tipicamente ci sono fasi di sviluppo che mostrano l’opposizione come caratteristica di base e queste hanno la funzione di aiutare il bambino nella costruzione della propria identità. I bambini che permangono, incastrati, in queste fasi di sviluppo sono bambini sofferenti.

Bambini che portano un peso più grande di loro, di cui non comprendono l’entità e che non gli permette di regolare l’emotività. Tutto è amplificato: il peso emotivo, le reazioni del bambino e la visione delle reazioni altrui.
Questa distorsione porta il bambino all’interno di un loop da cui non riesce ad uscire, anche perché spesso si manifesta in età talmente precoce, da non aver ancora sviluppato del tutto la corteccia  prefrontale , colei che ci permette di revisionare la realtà, di regolare le reazioni emotive e di comprendere gli aspetti sociali.  Spetta all’adulto dunque comprendere, analizzare e trovare una modalità di relazione e di gestione del bambino con DOP.

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La diagnosi dovrebbe essere un indizio per l’insegnante, che lo spinge in una direzione piuttosto che nell’altra, rispetto al comportamento da tenere a propria volta con il bambino; uno strumento utile per la comprensione di alcuni atteggiamenti del bambino. Molto spesso, invece, viene interpretata come un’etichetta sull’intera identità del bambino, che come tale va a bloccare ogni tentativo di “recupero”, di relazione efficace, determinando una sorta di rassegnazione che elude però il senso di colpa, perché “non sono io che ho fallito, è il bambino che è sbagliato”.
Se si parte dal presupposto che un bambino con Disturbi comportamentali sia irrecuperabile, non ci poniamo nella direzione giusta per poter anche solo fare un passo su una strada non ancora vagliata. Rimaniamo incastrati davanti al nostro muro, senza vedere che accanto c’è una porta. Bisogna trovare la chiave, certo, ma la porta c’è.
Se partiamo invece dalla base e cioè dal motivo per cui questi bambini si comportano così, credendo fortemente che nessun bambino NASCE così, nessun bambino nasce “cattivo”, nessun bambino È il comportamento che sta attuando, iniziamo con il piede giusto.
Le motivazioni possono essere molteplici e svariate, ma la piattaforma su cui sono costruite, è la medesima: la sofferenza.
Il bambino con DOP pensa di essere sbagliato, di vivere in mezzo a persone che non lo apprezzano; ha bisogno di essere visto, riconosciuto, apprezzato.  È necessario fargli notare i comportamenti positivi che attua, in modo da rinforzare l’autostima e la risposta “adeguata” in una determinata situazione.


La regolazione dell’emotività è l’aspetto più complesso nei bambini con DOP, perché l’onda emotiva li travolge in modo così totalizzante, da non mostrargli altro.

Circondato dalla sua emozione, il bambino non vede l’altro e non è in grado di percepirne la reazione emotiva. È necessario mettere a sua disposizione degli strumenti che gli consentano di apprendere una modalità di gestione dell’emozione soprattutto nella fase acuta, in modo da non inficiare le relazioni e non accrescere la sua sensazione di inadeguatezza.
Possono esserci una moltitudine di stratagemmi da attuare, sulla base dell’osservazione del singolo bambino, che accompagna ogni giorno l’adulto verso la conoscenza dei suoi schemi di comportamento. Ci sarà il bambino che necessiterà di un approccio pratico- fisico per incanalare l’esplosione emotiva, o il bambino con cui bisognerà trovare una modalità diversa, magari grafico-pittorica, per dar voce a ciò che sta provando. L’osservazione e la capacità di ascolto profondo, anche del non verbale, saranno le armi vincenti per la gestione del comportamento oppositivo provocatorio.

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DOP, Denominazione di Origine Protetta: indica un prodotto di alta qualità, la cui zona di origine e le tradizioni utilizzate tutt’ora per crearlo lo rendono così peculiare da doverlo salvaguardare da contraffazioni.
Iniziamo a pensare al bambino con DOP, con questa determinazione della sigla e cambiando la nostra visione, pensandolo come un essere unico e da salvaguardare, saremo in grado di amarlo, sostenerlo e potenziare i suoi talenti, senza definirlo per le sole difficoltà.

La campanella silenziosa della fine della scuola

E’ finita la scuola. Quella digitale,con i visi piatti dietro allo schermo, dove non senti i profumi e gli odori dei tuoi compagni di avventura; quella dove un discorso importante viene interrotto dalla linea scadente; quella dove non puoi chiedere aiuto al compagno; dove la maestra fa l’ “interrogazione” di gruppo perchè si sente male al pensiero di interrogare un bambino senza poterlo guardare negli occhi, senza sentire sulla pelle se ha bisogno di più tempo per rispondere o di un piccolo incipit. E’ finita la scuola e i bambini non hanno potuto salutarsi, salutare le loro insegnanti, quelle persone che li hanno accompagnati per il loro ciclo di studi e di vita. E’ finita la scuola, senza la campanella che suona lungamente per annunciarne la venuta; senza i canti di fine anno,con la felicità dei bambini per l’arrivo delle vacanze;è finita senza lo spettacolo, la consegna del diploma, i pianti.


Si è vissuta la privazione: della libertà, dei diritti, del contatto umano, della cultura e del lavoro.
Si è vissuta la paura: della malattia, della ripresa della vita “normale”, del contatto con l’altro, dei burocrati fanatici, della perdita del lavoro, del futuro incerto.
Si è vissuta la frustrazione, la rabbia e l’impotenza: per non poter fare altro se non stare in casa, per non poter far parte di una soluzione “attiva”; per non poter cambiare le cose.
Si è vissuta la speranza: che tutto potesse finire presto, che la malattia non ci colpisse, che la vita potesse tornare a scorrere, che il lavoro potesse ricominciare, che i nostri figli potessero tornare a scuola.
Si è vissuta l’attesa: alle volte con gratitudine per i tempi lenti, famigliari,quelli che servono per la lievitazione; altre volte con incertezza, sofferenza e insofferenza.
Per noi adulti, promotori della fretta, della produzione, dell’affermazione, stare fermi ad aspettare senza certezze, senza tempi definiti, senza soluzioni alla mano, è stato un tempo duro, in cui tutto ha cambiato forma.
Per i nostri figli, poi,non eravamo più solo mamme e papà, eravamo maestri. E siamo caduti, nelle nostre fragilità culturali. Chi in matematica, chi in italiano, in storia o in tecnica. Siamo caduti di fianco ai nostri figli e abbiamo cercato risposte. Su internet, tramite amici, tra moglie e marito, o chiedendo direttamente alla maestra via chat. Siamo caduti, ma ci siamo rialzati. Avevamo un bastone forte a sorreggerci: i nostri figli.
Loro che hanno vissuto tutte le nostre emozioni, anche quelle non palesate a parole o in atteggiamenti chiari; che hanno sentito, nella carne, tutto ciò che abbiamo provato; che erano invasi dalle loro molteplici sensazioni,ci hanno sorretto. Si sono adattati, sono stati pazienti, si sono ridimensionati e hanno continuato a portare il sorriso per la maggior parte del tempo.
Ma cosa hanno vissuto questi bambini, queste bambine, questi ragazzi e queste ragazze?
Hanno sentito caos.

A tratti pervasi dalla felicità di stare a casa con mamma e papà, a cucinare, dipingere pareti, giocare insieme. Dirompente però la sensazione che questa non fosse la normalità e che venisse anche mal-accettata dai genitori, che portasse sconforto, paura, incertezza. L’avanzare dei giorni di lockdown ci ha portati a parlare con i nostri bambini, a confrontarci, a mostrare i due lati della medaglia. Loro stessi portavano insofferenza, litigi, il desiderio di tornare a scuola.


E come lo si spiega ai bambini che dal 4 maggio tutto, piano piano, sta tornando come lo conoscevamo prima della pandemia, tranne la scuola? Che si può andare al ristorante, che ci si può abbracciare sul campo da calcio,ma che loro non hanno diritto di farlo con gli amichetti? Come lo si spiega ai bambini che gli adulti possono lavorare in 20-30 tutti insieme, mentre loro dovranno essere suddivisi in piccoli gruppi?
Non ho risposte per queste domande, perchè sono le stesse che mi pongo dal 4 maggio senza trovare una logica sana per rispondere a tutto questo.
L’unica cosa che è finita davvero con la pandemia è la Scuola. Che questo sia però motivo di ri-evoluzione, di re-invenzione di un’intero sistema. Sistema che si adatterà alle esigenze degli alunni, non viceversa. Che si utilizzi questa FINE come una ripartenza verso nuovi orizzonti. Io ci credo in una NUOVA SCUOLA. Credo che ci siano persone, professionisti, che hanno già compiuto grandi passi negli anni addietro, verso una direzione diversa, più naturale. Che hanno improntato il loro insegnamento sulla relazione con l’alunno e non solo con nozioni sterili.

Cogliamo questa opportunità e costruiamo un nuovo modello di scuola.
Che sia ricca di contatti umani, di relazioni, di gioco, di Natura, di apprendimento curioso.


Se i bambini hanno subìto il peggio, ora hanno diritto al meglio che possiamo immaginare.
E’ finita la scuola, ma possiamo e dobbiamo ricostruirla. Per loro, per noi, per l’umanità intera.

Manuela Griso

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